La clausola “claims made” nel contratto di assicurazione della responsabilità civile del medico

1460
responsabilità civile del medico

Nota a Corte di Cassazione, terza sezione civile, sentenza n. 22891/2015, dep. 10/11/2015

In base al disposto del primo comma dell’art. 1917 c.c. nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicuratore si assume l’obbligo di tenere indenne l’assicurato (struttura sanitaria o medico) di quanto questi deve pagare ad un terzo in conseguenza di tutti i fatti (sinistri) rientranti nell’oggetto del contratto accaduti durante il tempo dell’assicurazione, di cui il soggetto assicurato deve rispondere civilmente.
Una compagnia che, in ipotesi, avesse stipulato con un medico un contratto avente per oggetto l’assicurazione della responsabilità civile in relazione alla sua attività professionale senza derogare alla norma suddetta, avrebbe dovuto tenere indenne il sanitario per tutti i sinistri accaduti in un determinato lasso di tempo (ad esempio l’anno 1990) anche se la relativa richiesta di risarcimento del danno da parte del danneggiato fosse stata fatta in un momento successivo al predetto anno.
È noto, peraltro, che i più recenti contratti sulla responsabilità civile professionale predisposti dalle compagnie di assicurazione contengono di norma la clausola “claims made” (letteralmente a “richiesta fatta”) e conseguentemente coprono solo i fatti denunciati per la prima volta durante il periodo di tempo indicato nella polizza, avendo come riferimento non più solo il momento in cui è avvenuto il sinistro ma quello della relativa denuncia.
Questa clausola ha trasformato il tradizionale contratto di assicurazione della responsabilità civile previsto dal primo comma dell’art. 1917 del codice civile in un contratto atipico la cui validità è stata discussa, anche se la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5624/2005 ne ha affermato la legittimità, ritenendo derogabile il principio statuito dalla norma richiamata in base al disposto di cui all’art. 1932 c.c.
L’inserimento di questa clausola non è stato indolore per i medici assicurati perché la richiesta di un risarcimento danni per un comportamento professionale giudicato non corretto può pervenire molto tempo dopo il sinistro e, quindi, i sanitari sono costretti a stipulare polizze che coprono anche denunce che, in ipotesi, pervengono dopo la cessazione della loro attività.
Deve essere sottolineato che questa estensione della polizza è di norma onerosa, cioè comporta un aggravio di costo a carico dell’assicurato proprio perché è finalizzata a coprire anche richieste di danni che pervengano in un periodo diverso da quello di normale durata della polizza.
Inoltre le polizze non sono di norma retroattive e, quindi, in mancanza di una specifica clausola che ampli la garanzia anche a fatti accaduti in un determinato lasso di tempo precedente, questi fatti non potrebbero essere coperti anche se denunciati duranti il periodo di vigenza della polizza.
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 22891/2015 oggetto di questo breve commento, è ritornata a riflettere sulla validità della clausola “claims made” giungendo alla conclusione che questa clausola può assumere un carattere di vessatorietà qualora sia inclusa in un contratto concluso mediante moduli o formulari nell’ipotesi in cui possa ritenersi integrante una “limitazione di responsabilità”.
Dato che una clausola vessatoria per essere valida ed efficace deve essere approvata specificamente dal contraente (struttura sanitaria o professionista), in mancanza di questa particolare forma di approvazione la compagnia di assicurazione non potrebbe opporla per limitare la propria responsabilità in caso di sinistro, con conseguente vantaggio per l’assicurato che rimane coperto per i sinistri accaduti durante la vigenza temporale del contratto anche se la richiesta di risarcimento del danneggiato perviene successivamente.

Il caso esaminato e il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione

Il caso esaminato riguarda una polizza stipulata da un ospedale che, all’art. 1, sotto la rubrica “durata del contratto”, fissava questa durata “dalle ore 00 del 01/03/2001 alle ore 24 del 31/12/2003”, prevedendo quindi una durata di 22 mesi.
All’art. 22, inoltre, sotto la rubrica “responsabilità civile verso terzi (r.c.t.) e verso dipendenti” era previsto nel contratto che “la società si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto sia tenuto a pagare, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) quale civilmente responsabile, per danni involontariamente cagionati a terzi per morte, lesioni personali, danni materiali a cose od animali, in conseguenza di un fatto verificatosi in relazione all’attività svolta”.
L’art. 23, infine, posto dopo le richiamate disposizioni sotto la rubrica “Inizio e termine della garanzia” stabiliva nella sua prima parte che “La garanzia esplica la sua operatività per tutte le richieste di risarcimento presentate all’assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia della presente assicurazione”.
La Corte di Cassazione ha osservato che di per sé la clausola “claims made” non è vessatoria, ma assume questo carattere, con tutte le relative conseguenze, quando, valutata nell’economia complessiva della polizza, determina un restringimento della garanzia prestata rispetto a quella dichiarata e emergente da altre clausole precedenti riportate nelle condizioni generali di contratto ovvero nel modulo o formulario.
In sostanza, se la clausola “claims made” viene inserita nella parte del contratto “deputata in via esclusiva alla definizione dell’oggetto della copertura assicurativa” non assume il carattere di vessatorietà e, quindi, non deve essere approvata specificamente.
Se, invece, come nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, la clausola “claims made” viene inserita per limitare l’oggetto della garanzia assicurativa come definito in precedenza e, comunque, come percepibile da altre clausole deputate a definire l’oggetto del contratto in modo più ampio, la predetta la clausola “claims made” è vessatoria e, quindi, se non approvata specificamente ex artt. 1341 e 1342 c.c., è inefficace.
La Cassazione sottolinea appunto che nella fattispecie esaminata l’oggetto della copertura assicurativa era già stato ben determinato nelle clausole n. 1 e 22 sopra riportate e che, quindi, la successiva clausola n. 23 si è posta come limitativa dell’operatività della polizza emergente dalle precedenti disposizioni nel momento in cui collega questa operatività alle “richieste di risarcimento” pervenute per la prima volta durante la vigenza del relativo contratto.
Di conseguenza è stata rigettata la deduzione della compagnia di assicurazione diretta ad escludere l’operatività della polizza in questione motivata dal fatto che tale richiesta di risarcimento non era pervenuta durante il periodo indicato nella clausola n. 1 sopra indicata.


 

Vessatorietà della clausola “caims made” e necessità, a pena di inefficacia, di specifica approvazione

La Corte di Cassazione ha qualificato come vessatoria la clausola “claims made” inserita nei contratti di assicurazione predisposti dalle compagnie di assicurazione ovvero nelle relative condizioni generali di assicurazione qualora non sia diretta ad individuare in via principale l’oggetto della polizza, ma sia posta dopo altre clausole che già ben definiscono l’oggetto dell’assicurazione, assumendo quindi la funzione di limitare la responsabilità dell’assicuratore precedentemente indicata.
Questa clausola, se non approvata specificamente, è inefficace e, quindi, l’assicuratore deve coprire i fatti accaduti durante il periodo di vigenza della polizza, anche se denunciati successivamente al decorso di questo periodo.
La specifica approvazione di una clausola “claims made” vessatoria deve avvenire con una sottoscrizione apposta alla fine del contratto laddove questa clausola deve essere opportunamente riportata anche mediante richiamo al numero o alla lettera che contraddistingue detta pattuizione, senza necessità che sia ivi integralmente trascritta (vedi, sul punto, Cass. Civ. sentenza n. 15278/15).
Occorre, in sostanza, che l’attenzione del medico o della struttura sanitaria venga richiamata sulla natura della clausola vessatoria con modalità idonee a evidenziarne l’importanza nella struttura complessiva del contratto e quindi utili per la conoscenza del suo contenuto da parte del sottoscrittore che, nei rapporti con la compagnia di assicurazione, assume la qualità di contraente “più debole”, pertanto da tutelare.
Deve essere segnalato che il tema della validità, in linea generale, della clausola “claims made” sarà oggetto di un prossimo giudizio che è stato opportunamente demandato alle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione vista l’importanza della questione.