Legge Gelli – Il punto di vista del giurista

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Legge 8 Marzo 2017 n. 24


Il giorno 13 Marzo 2017 (G.U. n. 64) è stata pubblicata la Legge 8 Marzo 2017 n. 24 contenente “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria”.
Il 3 di Aprile la Legge è entrata ufficialmente in vigore.



Il punto di vista del giurista

La nuova legge è complessa e di non facile interpretazione perché presenta aspetti innovativi, talvolta contraddittori, che non sempre appaiono in grado di raggiungere gli scopi che il legislatore si era prefissato e cioè ridurre il ricorso alla medicina difensiva cercando di dare serenità ai sanitari nel loro difficile lavoro.
Cercheremo in queste brevi note di evidenziare quelli che appaiono essere, per i medici, gli aspetti positivi introdotti dalla nuova legge e quelli che, invece, non sembrano avere questa caratteristica.
In linea generale è positiva l’enfasi posta dalla legge sulla “sicurezza delle cure” e, in particolare, sulla prevenzione e la gestione del rischio connesso alle prestazioni sanitarie (vedi, sul punto, l’art. 1), ma occorre anche sottolineare che non sono state stanziate specifiche nuove risorse economiche dirette a perseguire lo scopo di evitare incidenti dovuti più che ad un errore medico ad una cattiva organizzazione della struttura.
Deve, peraltro, essere segnalato che nell’art. 16, comma primo, della legge è previsto che se dall’attività diretta all’esame interno degli incidenti avvenuti in una struttura dovesse emergere un indizio di reato a carico di un soggetto, la relativa documentazione non potrà essere acquisita o utilizzata nell’ambito di un procedimento giudiziario.
Questa disposizione renderà possibile la creazione di un sistema nel quale le segnalazioni relative agli incidenti occorsi potranno essere oggetto di un compiuto esame da chi è deputato alla prevenzione e gestione del rischio allo scopo di studiare le ragioni dell’insuccesso delle cure soprattutto al fine di evitare che l’eventuale errore umano possa ripetersi.
Imparare dall’errore altrui, in base a questa normativa, dovrebbe essere ora più facile in quanto le segnalazioni interne potrebbero essere compiute, senza il pericolo di incorrere in una autoaccusa, anche da chi ha effettivamente commesso l’errore che così diventa fonte di conoscenza comune e condivisa, utilizzabile in una ottica di prevenzione sistematica.
Questa normativa riguarda più le strutture complesse che quelle gestite dal singolo medico che opera nel suo studio privato, ma è auspicabile che la cultura della prevenzione del rischio in senso lato diventi patrimonio di tutti gli operatori del mondo della sanità.
È positivo, inoltre, che si tenti con la nuova legge di migliorare la qualità delle CTU e delle perizie che si utilizzano di norma nei procedimenti giudiziari sia civili che penali.
A tale scopo l’art. 15, comma 1, prevede che l’autorità giudiziaria nomini una collegio di CTU o periti composto, oltre che dal medico legale, anche da “uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.
Questa disposizione, insieme a quella che prevede la revisione degli albi dei consulenti e dei periti allo scopo di garantire “un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie” (anche a quelle non mediche), se rispettata in concreto, dovrebbe tranquillizzare gli operatori sanitari che spesso lamentano una cattiva qualità dei pareri tecnici posti a supporto delle decisioni giudiziarie.
Inoltre è previsto che gli iscritti agli albi dei CTU e dei periti, in sede di revisione, dovranno documentare l’esperienza professionale maturata, anche con riferimento agli incarichi ricevuti.
Deve essere segnalato, peraltro, che non è prevista alcuna specifica sanzione di nullità a garanzia dell’effettivo rispetto della disposizione che impone la collegialità nella CTU e nelle perizie.
Inoltre nel comma quarto dell’art. 15 è stabilito che l’incarico è conferito al collegio e che, nella determinazione del compenso globale, non si applica alcun aumento riferito al numero dei componenti del collegio, così cercando di fatto di evitare di gravare l’erario dai costi aggiuntivi che potrebbero derivare da questa norma.
Pur essendo evidente che una maggiore qualità delle CTU e delle perizie non è facilmente raggiungibile senza una adeguata remunerazione, è auspicabile che vi siano sempre più esperti nelle varie discipline specialistiche disposti a dare il loro autorevole contributo in sede di giudizio.

La nuova normativa sulla responsabilità penale

Nella nuova legge è contenuta una norma (art. 6) che abroga l’art. 3 della legge n. 189/2012 (cosiddetto decreto Balduzzi) e inserisce nel codice penale l’art. 590-sexies che stabilisce che quando fatti integranti in astratto il delitto di lesioni colpose o di omicidio colposo in danno di un paziente siano stati commessi “per imperizia”, la punibilità dell’esercente la professione sanitaria è esclusa se il professionista ha rispettato le linee guida (LG) ivi indicate (ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali) sempre che queste raccomandazioni “risultino adeguate alle specificità del caso di specie”.
Sorge qualche dubbio sul fatto che questa norma contenga una disciplina sempre effettivamente migliorativa rispetto all’ormai abrogato decreto Balduzzi che, secondo una recente interpretazione della Cassazione (vedi, da ultimo, la sentenza n. 8080/2017, depositata il 20/02/17) ha depenalizzato i comportamenti non solo lievemente imperiti, ma anche lievemente non diligenti se tenuti con una condotta giudicata non gravemente colposa nell’adeguamento al caso concreto delle raccomandazioni contenute nelle LG o nella BPA accreditate.
Questa innovativa normativa, infatti, sembra escludere, a determinate condizioni, la punibilità del professionista sanitario solo nell’ipotesi in cui l’evento dannoso sia stato commesso per una condotta colposa tenuta per “imperizia” nel dar seguito alle indicazioni provenienti dalla comunità scientifica rilevanti nel caso di specie.
Quindi in base alla predetta norma rimarrebbe ferma la possibilità di sanzionare in sede penale un comportamento anche solo lievemente colposo tenuto per negligenza o imprudenza.
Questa disposizione presenta forti aspetti di criticità perché spesso i vari aspetti (imperizia, negligenza, imprudenza) della colpa sono tra di loro così fortemente intrecciati che diventa difficile riuscire a ritenere sussistente solo l’imperizia (in ipotesi non punibile in virtù della nuova norma) e non anche la negligenza o l’imprudenza che, invece, rimangono condotte apparentemente punibili anche per colpa lieve.
È opportuno, inoltre, sottolineare che l’ambito di applicazione del nuovo art. 590 sexies (che riguarda solo i delitti di lesioni colpose e di omicidio colposo) dipenderà in concreto dalla valutazione che in sede di giudizio verrà operata in merito al comportamento del medico che, pur essendosi in gran parte attenuto alle raccomandazioni contenute nelle LG ivi indicate, ha poi commesso un lieve errore nell’adeguamento del trattamento alle specificità del caso concreto, così adempiendo in modo imperfetto ai suoi doveri di cura e cagionando un danno al paziente.
Se la norma in oggetto non verrà applicata con una buona dose di flessibilità c’è il rischio che questo comportamento venga ritenuto sanzionabile in sede penale anche se solo lievemente colpevole.
Dovrebbe essere comunque sanzionato in sede penale il comportamento del medico che utilizzi una linea guida in modo non opportuno rispetto alla effettiva situazione clinica del paziente (se questa condotta provochi un danno al paziente), sempre che il sanitario avrebbe dovuto accorgersi del fatto che la raccomandazione utilizzata non era adeguata alla specificità del caso, alla luce degli elementi già acquisiti nel momento in cui si è trovato ad operare.

La nuova normativa sulla responsabilità civile

Ulteriori novità sono contenute nell’art. 7 della nuova legge con riferimento alla responsabilità civile dei sanitari in quanto si stabilisce che il medico (dipendente, collaboratore di una struttura, convenzionato con il S.S.N.), salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., intitolato “Risarcimento per fatto illecito” che stabilisce “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
La vera novità, quindi, è costituita dall’esclusione della responsabilità contrattuale per i medici, operanti in una struttura o convenzionati con il SSN, salvo l’eccezione suddetta, con una norma evidentemente diretta a contrastare l’interpretazione giurisprudenziale ribadita anche recentemente dalla Corte di Cassazione in base alla quale la responsabilità è essenzialmente di natura contrattuale anche in presenza di un mero “contatto” tra sanitario e paziente.
Viene, invece, confermata la responsabilità civile di natura contrattuale a carico della struttura (pubblica o privata), anche per interventi ivi eseguiti da medici scelti dal paziente e non dipendenti, e per i sanitari che operano quali liberi professionisti al di fuori delle aziende sanitarie.
In teoria la nuova normativa dovrebbe essere più favorevole al medico che sia medico dipendente, collaboratore di una struttura ovvero convenzionato perché in questo caso competerà al paziente provare l’errore che ha causato il danno ingiusto perché il sanitario non ha agito conformemente alle regole dell’arte.
Inoltre l’azione diretta ad ottenere il risarcimento si prescriverà non più in dieci anni (come avviene per la responsabilità contrattuale) ma in cinque anni.
Occorrerà, peraltro, verificare come questi principi verranno interpretati e applicati dagli organi giudiziari per vedere se il legislatore è riuscito davvero con questa normativa a rendere più difficile l’accertamento della responsabilità civile dei sanitari dipendenti/collaboratori di una struttura o convenzionati con il servizio sanitario nazionale.
In questa sede è sufficiente ricordare che il suddetto termine di prescrizione è “mobile” in quanto non decorre dal fatto illecito, ma dal momento in cui il paziente si è reso conto (o avrebbe dovuto rendersi conto usando l’ordinaria diligenza) di avere subito una lesione al bene salute o al bene vita in seguito ad un determinato trattamento sanitario.
Inoltre è probabile che in molti casi si cercherà di far uso delle presunzioni come elementi probatori a carico del medico, tra le quali rientra anche una cartella clinica tenuta non correttamente.
D’altra parte, se in giudizio vengono convenuti sia la struttura che il medico che ivi opera, l’esito della CTU rimarrà comunque fondamentale al fine di accertare o meno la responsabilità di entrambi i convenuti o di uno solo di essi. Se però la causa del danno lamentato dal paziente rimane “ignota” e, comunque, non è collegabile in modo certo alla condotta del singolo medico, quest’ultimo dovrebbe ora, a differenza dei quanto accaduto talvolta in passato, essere assolto dalla domanda risarcitoria avanzata nei suoi confronti e fondata su una sua presunta responsabilità extracontrattuale.

Prime conclusioni

Nel concludere queste brevi note si può affermare che “non è tutto oro quello che luccica” nella nuova normativa e che, prima di plaudire alla nuova legge, occorre essere prudenti e verificare come sarà applicata dai legali e dai giudici.
È noto, in fatti, che le leggi le fa il Parlamento, ma poi le norme camminano sulle gambe degli uomini e soprattutto sull’interpretazione che ne verrà data da16lla giurisprudenza che se riterrà troppo difficile la tutela del diritto costituzionale alla salute potrà anche sollevare dubbi di incostituzionalità rispetto a specifiche norme. •

Sergio Fucci
Giurista e bioeticista, giudice tributario, già Consigliere della Corte d’Appello di Milano