Questione di vitreo o di retina?

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Il dilemma irrisolto delle trazioni vitreo-maculari

Nell’ultimo decennio, la patologia dell’interfaccia vitreo-retinica ha visto crescere notevolmente l’interesse della comunità scientifica. L’evoluzione della comprensione dei meccanismi patogenetici e la prospettiva di nuove terapie hanno stimolato la ricerca di nuovi metodi di studio e di caratterizzazione di queste patologie.
La pubblicazione nel 2013 del lavoro del gruppo di studio International Vitreomacular Traction Study Group (IVTS) ha senza dubbio fatto un po’ di chiarezza circa la classificazione delle patologie dell’interfaccia vitreo-retinica (1). Tale classificazione è di grande utilità clinica, in considerazione della recente introduzione sul mercato della molecola ocriplasmina, destinata al trattamento intravitreale di alcune patologie dell’interfaccia vitreomaculare.
La molecola è un derivato contenente solo il sito catalitico della plasmina, un enzima proteolitico in grado di degradare la laminina e la fibronectina.
L’azione principale dell’ocriplasmina, una volta iniettata nel vitreo, è di indurre contemporaneamente una sinchisi e una sineresi vitreale, portando a una vitreolisi farmacologica. L’obiettivo finale è di indurre una separazione atraumatica del vitreo dalla superficie retinica, un vero e proprio distacco posteriore di vitreo completo.
L’ocriplasmina (Jetrea®) è di peso molecolare inferiore rispetto alla plasmina di derivazione autologa, ed è prodotta con tecniche biomolecolari.
I vantaggi indubbi rispetto alla forma autologa sono: la stabilità dell’enzima, la maggiore sicurezza microbiologica e l’efficacia di diffusione all’interno della camera vitrea.
L’ocriplasmina è stata introdotta in commercio dopo gli studi di fase I, II e III, ed è attualmente ancora in fase IV per quanto concerne la farmacovigilanza (2-4).
La classificazione IVTS, come detto, è di grande utilità clinica dato che vi è concordanza tra tale sistema e le attuali indicazioni registrate per l’utilizzo di tale farmaco. Al momento esse sono:

  • adesioni vitreo-maculari sintomatiche;
  •  trazioni vitreo-maculari focali (<1500 micron);
  • fori maculari non a tutto spessore;
  • fori maculari a tutto spessore piccoli (<200 micron) e intermedi (200-400 micron).

È innegabile l’attrattiva che tale farmaco esercita sui clinici, per le possibilità sia di trattare la patologia risparmiando un intervento chirurgico, sia di offrire una cura a quei pazienti in cui la soluzione invasiva rimane una scelta difficile (pazienti
monocoli, rischio chirurgico elevato, eccetera).
Un aspetto che continua ad affascinare gli studiosi delle sindromi dell’interfaccia vitreo-retinica ha visto crescere notevolmente l’interesse della comunità scientifica. L’evoluzione della comprensione dei meccanismi patogenetici e la prospettiva di nuove terapie hanno stimolato la ricerca di nuovi metodi di studio e di caratterizzazione di queste patologie.
La pubblicazione nel 2013 del lavoro del gruppo di studio International Vitreomacular Traction Study Group (IVTS) ha senza dubbio fatto un po’ di chiarezza circa la classificazione delle patologie dell’interfaccia vitreo-retinica (1).
Tale classificazione è di grande utilità clinica, in considerazione della recente introduzione sul mercato della molecola ocriplasmina, destinata al trattamento intravitreale di alcune patologie dell’interfaccia vitreodell’interfaccia vitreo-retinica è la complessa dinamica di forze che si giocano in quel misterioso punto di adesione tra vitreo e retina quando
accade un distacco posteriore di vitreo anomalo.
Perché alcune trazioni si risolvono spontaneamente e altre no? Perché alcune trazioni evolvono in un foro maculare? Perché alcuni fori sono a tutto spessore e altri sono solo a spessore parziale? È evidente come i meccanismi e le forze in gioco non siano così banali. La domanda cruciale diventa allora: esiste un modo per prevedere come evolverà una trazione vitreo-maculare?
Alcuni gruppi di studiosi hanno provato a dare una riposta a questa domanda, ideando alcuni algoritmi di calcolo o dei modelli di comportamento, pionieri di un futuro non cosi lontano.

Fig. 1 Un esempio di risoluzione spontanea di trazione vitreo-maculare di tipo focale

 

In un recente lavoro (5) si propone un algoritmo per individuare le trazioni vitreo-maculari più prone alla risoluzione spontanea (fig. 1). Il principio alla base è (come spesso accade per le osservazioni scientifiche) quanto mai intuitivo e semplice, ma logico. Gli autori osservano come le trazioni vitreo-maculari che si risolvono spontaneamente sono caratterizzate da un progressivo aumento dell’angolo che si forma tra la ialoide posteriore e la superficie retinica (sia dal versante nasale che temporale, in riferimento a una scansione OCT orizzontale), indicazione di un aumento della trazione antero-posteriore del vitreo (fig. 2).

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Fig. 2 Diagramma rappresentante il cambiamento di angolo (da “a” a “b”) tra ialoide e vitreo in una trazione vitreo-maculare che aumenta la sua componente trazionale antero-posteriore.

In particolare, gli autori hanno individuato come le risoluzioni spontanee mostrino un aumento medio di 38° gradi dell’angolo ialoide-retina, mentre le trazioni che rimangono stabili nel tempo di solamente 1°.
Il messaggio è chiaro: più la trazione è tesa in senso antero-posteriore, più è probabile che si risolva.
Un altro gruppo di ricercatori ha amplificato questo concetto in uno studio differente (6), rivolto alla patogenesi
dei fori maculari. In questo lavoro gli autori hanno ingegnosamente studiato in maniera prospettica l’occhio controlaterale di un gruppo di 89 pazienti sottoposti a chirurgia per foro maculare.
In questo modo gli autori sono stati in grado di documentare l’origine ex novo e l’evoluzione di un foro maculare, dalla sua formazione alla sua progressione verso un foro a tutto spessore. Gli autori distinguono le trazioni vitreo-maculari in due tipologie: le “U-shape pattern” e le “V-shape pattern”. Le prime hanno una forma morbida, una ialoide biconvessa con un angolo di inserzione tra vitreo e retina <45°. Le seconde invece hanno un aspetto ripido, una ialoide tesa con un angolo di inserzione >45°. L’ipotesi del gruppo di studio è la seguente: il gioco di forze che il vitreo esercita sulla retina è un sistema complesso di vettori sia di tipo antero-posteriore sia tangenziale alla superficie retinica.
A seconda del pattern di trazione presente, prevarrà uno tra i tipi di forze in gioco, e da ciò ne conseguirà
il tipo di lesione maculare.
In particolare, le trazioni “U-shape” hanno una prevalente componente tangenziale, quindi provocano un foro lamellare a partenza dagli strati più interni. Le trazioni “V-shape”, invece, hanno una prevalente componente antero-posteriore, e tale forza trazionale tende a sollevare in blocco il tessuto retinico, provocano un danno localizzato agli strati più esterni (come un sollevamento della fovea o un piccolo distacco della linea IS/OS).
Sempre su questo filone di ricerca, un altro studio (7) si prefigge di identificare alcune caratteristiche della trazione vitreo-maculare utili al clinico per monitorare la malattia e prevederne l’evoluzione. L’idea fondamentale è la seguente: dato che siamo abituati a osservare una trazione vitreo-maculare in una scansione OCT monodimensionale, quando in realtà l’adesione tra vitreo e retina è qualcosa di bidimensioanale (un’area), perché limitarci a questa osservazione, quando possiamo calcolare proprio l’area di questa interfaccia? Viene proposto quindi un modello semplice e pratico, utilizzabile con qualunque OCT, che permette di stimare (non di calcolare) l’area dell’adesione.
L’interfaccia viene rappresentata come un’ellisse, che è la forma geometrica più semplice per approssimare schematicamente l’area di adesione. Per calcolarne l’area è sufficiente eseguire una serie di scansioni radiali su 360° centrate sulla fovea, quindi considerare la scansione dove l’adesione ha la maggiore base di impianto. Questa lunghezza rappresenta l’asse maggiore dell’ellisse.

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Fig. 3 Schema del sistema di calcolo dell’interfaccia con il metodo dell’ellisse. “A” è la scansione maggiore tra quelle studiate, “B” la perpendicolare a quest’utlima.

La scansione perpendicolare a quest’ultima è arbitrariamente considerata come l’asse minore. L’area è quindi: Area = (asse maggiore) x (asse minore) x p (fig. 3). Tutti i pazienti che sono andati incontro a risoluzione spontanea hanno avuto una diminuzione significativa dell’area nel tempo. I pazienti che sono rimasti stabili o che sono andati incontro a chirurgia non hanno invece
mostrato variazioni dell’area dell’interfaccia. Gli autori propongono anche un’area soglia, al di sotto della quale i pazienti hanno una probabilità di risoluzione di circa 20 volte superiore rispetto alle aree più grandi. È evidente come questo metodo, per quanto comodo e di facile impiego pratico, sia limitato e approssimativo.
Nel microcosmo dell’interfaccia vitreo-retinica avviene un gioco di forze cruciale, la cui comprensione non è sempre così facile e intuitiva.
Tutte le ipotesi meccaniche proposte e gli algoritmi individuati hanno un razionale valido e degli sviluppi affascinanti, ma necessitano di numeri più elevati di pazienti per essere validati e applicati in clinica.
L’interfaccia vitreo-retinica deve essere valutata con attenzione sia dal punto di vista del tipo di inserzione (quindi dal lato del vitreo), sia dal punto di vista dell’inserzione (quindi dal lato della retina). I nuovi sistemi di OCT en face, che permettono lo studio dettagliato e la misurazione precisa delle aree, saranno il prossimo futuro per la gestione di questa patologia.
La risposta salomonica alla domanda con cui esordisce questo articolo è quindi: il dilemma della trazione vitreo-maculare è una questione sia di retina sia di vitreo.

Bibliografia

  1. Duker JS, Kaiser PK, Binder S, de Smet MD, Gaudric A, Reichel E, Sadda SR, Sebag J, Spaide RF, Stalmans P. The International Vitreomacular Traction Study Group Classification of Vitreomacular Adhesion, Traction, and Macular Hole. Ophthalmology 2013; 120:2611-9.
  2.  de Smet MD, Gandorfer A, Stalmans P, Veckeneer M, Feron E, Pakola S, Kampik A. Microplasmin intravitreal administration in patients with vitreomacular traction scheduled for vitrectomy: the MIVI I trial. Ophthalmology 2009;
    116:1349-55.
  3. Stalmans P, Delaey C, de Smet MD, van Dijkman E, Pakola S. Intravitreal injection of microplasmin for treatment of vitreomacular adhesion: results of a prospective, randomized, sham-controlled phase II trial (the MIVI-IIT trial). Retina 2010;
    30:1122-7.
  4. Stalmans P, Benz MS, Gandorfer A, Kampik A, Girach A, Pakola S, Haller JA; MIVI-TRUST Study Group. Enzymatic vitreolysis with ocriplasmin for vitreomacular traction and macular Holes. N Engl J Med2012; 367:606-15.
  5. Theodossiadis GP, Grigoropoulos VG, Theodoropoulou S, Datseris I, Theodossiadis PG. Spontaneous resolution of vitreomacular traction demonstrated by spectral-domain optical coherence tomography. Am J Ophthalmol 2014; 157:842-51.
  6. Theodossiadis G, Petrou P, Eleftheriadou M, Moustakas AL, Datseris I, Theodossiadis P. Focal vitreomacular traction: a prospective study of the evolution to macular hole: the mathematical approach. Eye 2014;28(12):1452-60.
  7. Codenotti M, Iuliano L, Fogliato G, Querques G, Bandello F. A novel spectral-domain optical coherence tomography model to estimate changes in vitreomacular traction syndrome. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol 2014;252(11):1729-35.