Le criticità per l’ipovedente nella normativa attuale

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Sabato 20 ottobre si è svolto presso la clinica oculistica dell’Università Sapienza di Roma il convegno “La parola all’ipovedenti”, giunto alla sua quarta edizione. Si è trattato di un incontro tra oftalmologi e disabili visivi, che la IAPB Italia, l’UICI e la Clinica Oculistica organizzano sui problemi della riabilitazione visiva: un‘iniziativa che è diventata ormai una tradizione e spero che non vada perduta per il futuro.
Circa quindici anni fa rimasi molto colpito, durante un convegno dei genitori di bambini ipovedenti e non vedenti, dalle molte rimostranze che la platea avanzava nei confronti degli oculisti e, essendo l’unico oftalmologo presente, furono riversate tutte su di me. Nessuno, dico nessuno, metteva in dubbio la professionalità e la preparazione del proprio oculista. Anzi erano elogiate. Ciò che veniva invece pesantemente criticato e rimproverato era il disinteresse – tra l’altro dichiarato – per ciò che riguardava il percorso formativo e riabilitativo del bambino disabile. Fatta brillantemente la diagnosi e terminato il ciclo terapeutico, l’oculista “se ne lavava le mani”, dichiarando che il suo compito era terminato. “Eppure – dicevano i genitori – quello era il momento in cui noi avevamo più bisogno di lui. Per noi era e rimaneva la figura di riferimento”.
Purtroppo è una nostra grave lacuna: la tiflologia è una grande sconosciuta del mondo oculistico. Anche le nostre università se ne sono disinteressate: non figura in nessun corso di laurea o di specializzazione. Eppure noi oculisti veniamo chiamati nei tribunali, come CTU espertissimi, a giudicare se, in base a dei filmati fatti da incompetenti, quel soggetto indagato è cieco assoluto o parziale o ipovedente.
Purtroppo quando si parla di cecità, tutti, esperti e comuni cittadini, la rappresentano in modo dicotomico: o il buio assoluto o la visione normale. Tutte le estesissime zone di grigio, più o meno intenso, tra i due estremi non vengono mai immaginate e prese in considerazione. Solo l’ipovedente e il cieco vivono sulla propria pelle le enormi difficoltà nella vita quotidiana. La loro disabilità non appare, o appare poco o viene facilmente simulata da chi proprio non vuol passare per disabile.
Nell’immaginario comune il cieco è soltanto colui che porta occhiali neri e agita il bastone bianco.
Eppure ci sono studi che valutano l’impatto sulla qualità di vita delle malattie oculari invalidanti, ad esempio della DMLE. Ebbene una maculopatia allo stadio avanzato (si sa distrugge la visione centrale, ma risparmia buona parte della periferica e quindi concede una certa autonomia di movimento e orientamento) è equiparata ad un tumore prostatico avanzato con metastasi, ad un ictus con severe limitazioni funzionali, ad un infarto. E l’oculista come percepisce questa riduzione della qualità di vita dell’ipovedente? La risposta a tale quesito ce la dà uno studio di Brown MM, Brown GC, Stein JD: i pazienti con DMLE riportano una disabilita dal 96% al 750% maggiore rispetto a quanto stimato dagli oculisti stessi. (Age-related macular degeneration: economic burden and value-based medicine analysis. Ophthalmol. 2005;40:277-287).
L’ipovisione è oggi uno dei problemi prioritari che i Servizi Sanitari sono chiamati ad affrontare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo pone tra le quattro priorità oftalmologiche, insieme al glaucoma, alla retinopatia diabetica, ai vizi refrattivi non corretti.
E l’Italia come si pone davanti a questo problema?
Da un punto di vista legislativo risulta all’avanguardia. Dobbiamo riconoscerlo.
Infatti la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva degli ipovedenti assunsero in Italia pregnanza giuridica e sociale con la legge n. 284 del 1997 (Disposizioni per la prevenzione della cecità e per la riabilitazione visiva e l’integrazione sociale e lavorativa dei ciechi pluriminorati) che recepì le istanze sociali della IAPB - Italia e dell’UICI e destinò apposite risorse finanziarie per la creazione di centri di prevenzione e riabilitazione visiva: 5 miliardi delle vecchie lire.
Le Regioni dovevano subito prendere iniziative per:
mettere a punto convenzioni con i centri specializzati;
creare nuovi centri dove questi non esistevano;
potenziare quelli già esistenti.
Al Ministero della Sanità spettava, invece, il compito di stabilire i criteri di ripartizione dei fondi, nonché i requisiti organizzativi, strutturali e funzionali dei centri stessi. Sanciva infine l’istituzionalizzazione e il finanziamento della “Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità”.
Molti erano gli aspetti positivi della Legge che si possono sintetizzare nei seguenti punti:
Legge all’avanguardia a livello mondiale.
Rivalutazione dell’esistente sia pubblico che privato.
Rispetto territoriale con richiesta di presenza capillare.
L’aspetto indubbiamente negativo era il finanziamento inadeguato, briciole per un progetto di così grande portata.
In seguito fu varata un’altra legge in materia: Legge 3 aprile 2001 n.138 (Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici). Con essa furono sanciti due principi fondamentali:
L’importanza della visione periferica nella definizione di funzione visiva.
L’esistenza – oltre alla cecità – di vari gradi di ipovisione.
Due anni dopo veniva varata una nuova Legge, la 291 del 16 ottobre 2003, che istituiva il Polo nazionale di servizi e ricerca per la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva degli ipovedenti, che nel maggio 2013 è stato ufficialmente riconosciuto dalla World Health Organizations a Collaborating Centre for Visual Rehabilitation and Blindness Prevention.
Le Leggi ci sono e sono anche all’avanguardia ma la realtà è altra cosa.
Rispetto alla Legge 284, a parte un cronico ritardo – d’altra parte del tutto prevedibile - ogni Regione, nel rispetto della propria autonomia, si è mossa per conto proprio. Non c’è stato alcun coordinamento nazionale e alcun confronto. Anche quanto discusso e proposto al tavolo Stato-Regioni non è stato sempre recepito. In pratica l’applicazione della Legge è stata disattesa salvo qualche eccezione. Purtroppo l’Italia ha 20 Repubbliche sanitarie e ognuna si muove per conto proprio. Dopo 20 anni dell’emanazione della Legge un programma regionale di riabilitazione visiva secondo i dettami del DM applicativo della 284 è nella maggior parte dei casi un miraggio. Per di più recentemente i pochi spiccioli previsti dalla Legge sono stati quasi azzerati in una recente Finanziaria: da 2 milioni e mezzo di euro a 194 mila.
Ma poi quel finanziamento annuale per i Centri di Riabilitazione era stato realmente utilizzato per questo scopo da parte delle Regioni? No, solo in alcune; per lo più finiva nel calderone delle finanze regionali e poteva risultare utile per tappare qualche buco di bilancio.
A distanza di anni non è azzardato sostenere che quel finanziamento previsto dalla 284 ha costituito quasi un pretesto per le strutture sanitarie per non affrontare il problema della riabilitazione visiva vedendolo come qualcosa di autonomo, finanziato a parte. Oggi la riabilitazione sensoriale risulta quasi ghettizzata rispetto a quella neuro-psico-motoria nelle varie ASL.
Anche la Legge 138 del 2001 ha creato notevoli criticità, vissute da tutti gli oculisti nella loro quotidianità assistenziale. Era una Legge che aveva solo una funzione classificatoria della disabilità visiva e non doveva incidere sui benefici spettanti al disabile. In pratica, rimaneva e rimane valida la Legge 382, che riconosceva solo i ciechi classificandoli in assoluti, ventesimisti e decimisti. Così oggi all’ipovedente medio grave e lieve non spetta nulla, neppure gli ausili visivi essenziali per la loro riabilitazione. Inoltre tutti gli ipovedenti accedono solo alle Commissione di invalidità civile dove non figura un oftalmologo.
In conclusione tante sono le problematiche che la riabilitazione visiva pone oggi agli amministratori e programmatori sanitari, agli oftalmologi, ai disabili. Se abbiamo Leggi che ci pongono all’avanguardia, la realtà risulta molto diversa. Per di più la coperta assistenziale si va sempre più riducendo e qualcuno ha pensato bene, per trovare giustificazioni, di far esplodere il fenomeno dei “falsi ciechi”. Le truffe in Italia ci sono sempre state e purtroppo ci saranno. Ma per tale ragione non si può colpevolizzare un’intera categoria di disabili.

Filippo Cruciani
Presidenza nazionale
IAPB Italia Onlus
Componente Commissione
Ipovedenti UICI19