Dry eye disease: stato dell’arte

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Dry eye disease
Fig. 1 - Stratificazione del film lacrimale, tratta dal TFOS Dry Eye Workshop DEWS II, 2017. A Epitelio, B Glicocalice, C Strato Muco-acquoso, D Lipidi, E Mucine che attraversano la membrana, F Mucine sfaldate che attraversano la membrana, G Mucine formanti gel, H Galectina-3, I Immunoglobulina A, L lisozima, M Transferrina, N Fattore "a trifoglio"

Nonostante gli ultimi decenni abbiano visto crescere una maggior consapevolezza sulla malattia dell’occhio secco (dry eye disease – DED), siamo ancora distanti da una piena comprensione della rilevanza epidemiologica del quadro clinico e dell’impatto sulla qualità della vita dei pazienti.

La DED colpisce centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, ed è una delle cause più frequenti di visite oculistiche ambulatoriali.

Si tratta di una malattia sintomatica della superficie oculare, caratterizzata da un circolo vizioso di instabilità ed iperosmolarità del film lacrimale, infiammazione e danni epiteliali, ed anomalie neurosensoriali.

Le risposte dei membri del TFOS DEWS II e gli sforzi congiunti di molti colleghi hanno aggiornato la definizione di questa entità, fornendo spunti interessanti riguardo alle caratteristiche cliniche e a nuovi modelli terapeutici che possano migliorarne il trattamento complessivo.

Il film lacrimale ricopre la superficie oculare. E’ un fluido complesso, in costante movimento, che svolge numerosi ruoli: consente la pulizia dalle impurità provenienti dall’ambiente esterno; difende dalle infezioni corneali ponendosi come barriera protettiva; lubrifica l’epitelio corneale e congiuntivale; lo nutre veicolando ossigeno, ioni, anidride carbonica, mucine, lipidi; garantisce un interfacce ottico ottimale.

Alla luce di tante funzioni, è facile immaginare come un’alterazione della lacrima possa avere un impatto negativo sul complessivo benessere oculare.

Il film lacrimale si compone sostanzialmente di due fasi, dall’esterno all’interno (figura 1):
lipidica, che forma una barriera idrofoba, con importanti funzioni ottiche ed antievaporative; muco-acquosa, che costituisce la gran parte dello spessore del film lacrimale, contiene numerose proteine ed elettroliti e mostra un gradiente crescente di mucine secretorie man mano che ci si avvicina agli epiteli.

L’American Academy of Ophthalmolomogy ha dichiarato il dry eye come la causa più frequente di visita di controllo oculistica. La sintomatologia di accompagnamento del dry eye ha uno spettro molto variabile, che include la sfera del discomfort (sensazione di corpo estraneo, secchezza, fotofobia, iperlacrimazione, bruciore, etc.) e la sfera dei disturbi visivi.

Definizione

Si è preso coscienza del DED come quadro patologico non più di trent’anni fa e, negli anni Novanta, è cresciuta la consapevolezza della grande prevalenza. La prima definizione articolata di DED risale al 1995, quando il National Eye Institute sulle sperimentazioni cliniche per l’occhio secco definì il dry eye come “un disturbo del film lacrimale causato da insufficienza lacrimale o eccessiva evaporazione lacrimale che provoca lesioni alla superficie oculare interpalpebrale ed è associato a sintomi di disagio oculare”. Tale definizione riconosce per la prima volta la rilevanza qualitativa - e non solo quantitativa - del film lacrimale.

In seguito, nel 2006, un Delphi panel ha migliorato il concetto di DED come “sindrome da disfunzione lacrimale”, creando una classificazione pensata per dare delle linee guida sul trattamento, a seconda della presenza o dell’assenza di infiammazione associata.

Negli anni successivi, l’interesse sull’argomento è cresciuto esponenzialmente, unitamente alla letteratura sull’argomento e, nel 2007, è stata pubblicata la prima definizione di occhio secco da parte della Tear Film & Ocular Surface Society (TFOS) e il DED è stato definito come “malattia multifattoriale delle lacrime e della superficie oculare che provoca sintomi di disagio, disturbo visivo e instabilità del film lacrimale con lesioni potenziali alla superficie oculare, accompagnato da una maggiore osmolarità del film lacrimale e da infiammazione della superficie oculare”. Questa è la prima definizione che riconosce un’eziologia multifattoriale, in cui i sintomi sono centrali, e non sono costituiti soltanto da disagi soggettivi, ma anche da disturbi visivi transitori.

Inoltre, viene posta l’attenzione sull’aumentata osmolarità del film lacrimale che accompagna la malattia, ma non si fa riferimento al meccanismo o all’eziologia della DED. L’aumentata osmolarità e l’infiammazione sono descritti come marcatori, piuttosto che causali di malattia.

L’ultima definizione di DED, aggiornata nel 2017 dal TFOS DEWS II, parla di una "patologia multifattoriale della superficie oculare, che si caratterizza per la perdita di omestoasi del film lacrimale e si accompagna a sintomi oculari, in cui l’instabilità e l’iperosmolarità del film lacrimale, l’infiammazione e il danno della superficie oculare, e le anomalie neurosensoriali giocano un ruolo eziologico".

Gli aspetti più innovativi di questa definizione sono probabilmente il riconoscimento del ruolo eziologico nella malattia delle “stazioni” del circolo vizioso, e la valorizzazione del ruolo delle anomalie neurosensoriali.

Negli ultimi anni abbiamo imparato molte nuove informazioni circa l’innervazione corneale, le caratteristiche dei diversi tipi di recettori, il ruolo specifico di alcune classi di recettori “per il freddo” nel regolare lacrimazione ed ammiccamento basale.

Le nuove conoscenze sui fenomeni di sensibilizzazione nervosa periferica e centrale possono aiutarci ad interpretare correttamente alcuni casi di pazienti con importante sintomatologia ma obiettività oculare sostanzialmente negativa.

Fig. 2 - Classificazione della DED, tratta dal TFOS Dry Eye Workshop DEWS II, 2017.

Classificazione

La classificazione della DED ha avuto importanti recenti evoluzioni e l’approccio classificativo deve essere necessariamente orientato al paziente.
L’approccio proposto dal TFOS DEWS II, mostrato in figura 2, tiene conto dell’importanza di segni e sintomi della malattia ma anche del fatto che questi possano frequentemente mostrare scarsa correlazione tra loro.

I pazienti sintomatici senza segni clinici dimostrabili - categoria che pone particolari sfide nella gestione clinica - vengono distinti in pazienti con occhio secco pre-clinico e pazienti con dolore neuropatico. Al contrario, i pazienti asintomatici che presentano segni clinici sono distinti in pazienti con ipoestesia corneale su base neuropatica e pazienti con segni prodromici, a rischio di sviluppare DED manifesta nel tempo o in seguito ad un insulto della superficie oculare, ad esempio di tipo iatrogeno (medico o chirurgico).

Nella parte inferiore della flowchart, la DED viene classificata su base eziologica, mettendo in evidenza le due principali categorie, che non si escludono a vicenda ma possono frequentemente coesistere: occhio secco da scarsa componente acquosa (ADDE) e occhio secco evaporativo (EDE).

L’ADDE descrive le condizioni che interessano la funzione della ghiandola lacrimale. È accettato che l’EDE includa sia cause correlate alla palpebra (correlate a MGD o ammiccamento) sia cause correlate alla superficie oculare (ad esempio, nell’utilizzo cronico di lenti a contatto).

Risulta importante notare come la maggior parte delle forme di DED sia prevalentemente iperevaporativa. Per questo motivo, un approccio diagnostico mirato alla rilevazione di deficit di secrezione acquosa o di volume lacrimale porterebbe ad una mancata diagnosi in moltissimi casi di DED.

Questo approccio classificativo e la nuova definizione di DED influenzano fortemente il nostro approccio diagnostico.

Diagnosi

In assenza di un singolo test diagnostico “gold standard” per la malattia è necessario adottare un algoritmo diagnostico che tenga conto di sintomi e segni obiettivi.

Un primo importante passo è quello di una raccolta anamnestica volta alla diagnosi differenziale, escludendo patologie della superficie oculare che possano mimare la DED o coesistere con essa, e all’identificazione dei fattori di rischio per la malattia. Tra i fattori di rischio principali ricordiamo la disfunzione delle ghiandole di Meibomio (MGD), l’età, il sesso, diverse patologie autoimmuni, numerose terapie topiche e sistemiche e la chirurgia rifrattiva.

La diagnosi differenziale tra MGD e dry eye non è di immediata definizione, molti dei sintomi associati (quali stanchezza oculare, secchezza, dolore, pesantezza palpebrale, sensazione di bruciore, prurito e sensazione di corpo estraneo) sono infatti sovrapponibili nei due quadri, rendendone difficile la differenziazione.

Nel 2019 il gruppo Arita ha pubblicato sull’American Journal of Ophthalmology uno studio di popolazione sulla prevalenza e i fattori di rischio di MGD vs. DED e sulla relazione tra queste due patologie: quel che è emerso è che, in effetti, non c’è una significativa differenza nella gravità dei sintomi di uno o dell’altro gruppo.

Il cuore dell’algoritmo diagnostico per la DED è rappresentato dalla valutazione dei sintomi e da quella dei segni obiettivi, interpretabili come marker di perdita dell’omeostasi della superficie oculare.

I sintomi possono essere valutati con un’anamnesi mirata, con l’ausilio di Visual Analogue Scale o tramite questionari standardizzati. Tra questi ultimi, l’Ocular Surface Disease Index (OSDI) offre il vantaggio di essere di rapida esecuzione - adatto anche ad una pratica clinica quotidiana - e di permettere una stratificazione standardizzata della severità dei sintomi.

Segni obiettivi importanti che, unitamente ai sintomi, possono portare ad una diagnosi di DED sono l’instabilità del film lacrimale, la sua iperosmolarità o la presenza di danno epiteliale riscontrabile a livello corneale, congiuntivale o del margine palpebrale tramite fluoresceina e/o verde di lissamina.

I test volti alla quantificazione di volume e secrezione lacrimale ed all’analisi della funzionalità delle ghiandole di Meibomio saranno poi essenziali per sottoclassificare la tipologia di DED.

Trattamento

La teoria del doppio circolo vizioso sulla MGD, tra le principali cause di DED, proposta dal gruppo di Baudouin è utile non solo per capire i complessi meccanismi fisiopatologici alla base del dry eye, ma anche per migliorarne il protocollo terapeutico. Una corretta igiene palpebrale, attraverso massaggi palpebrali e impacchi caldi, serve per ridurre la proliferazione di batteri, incrementando la temperatura di fusione del meibo, oltre a fondere i lipidi delle ghiandole di Meibomio per migliorarne la secrezione.

Anche gli effetti antinfiammatorio ed antimicrobico dei derivati delle tetracicline orali, come la doxiciclina, e degli antibiotici, inclusa azitromicina, possono ridurre la proliferazione batterica e prevenire la cheratinizzazione ghiandolare indotta dall’infiammazione per migliorare la secrezione di meibo.

Lo scopo di una corretta gestione terapeutica è il ripristino dell’omeostasi della superficie oculare e del film lacrimale, rompendo il circolo vizioso della malattia. Questo approccio è reso più complesso dalla natura multifattoriale della DED.

Il TFOS DEWS II Management and Therapy report propone una gestione clinica basata su una stratificazione di gravità e, all’interno di ogni fase, su un tentativo di personalizzazione dei provvedimenti terapeutici.

Nella fase 1 sono previsti: tentativi di rimodulazione dei fattori di rischio (farmaci sistemici e topici, ambiente di lavoro, stili di vita…), uso di lacrime artificiali di diversi tipi, igiene palpebrale ed impacchi caldo umidi.

È interessante notare da un lato come le lacrime artificiali siano un cardine della terapia della DED (per questo motivo dovrebbero essere prescritte, e non consigliate, dallo specialista che si sobbarchi l’onere di una scelta razionale della formulazione da impiegare in base alle caratteristiche del paziente) e dall’altro come, data la rilevanza dell’MGD come fattore di rischio della malattia, una particolare attenzione sia rivolta al trattamento delle palpebre.

Nella fase 2 gli elementi più rilevanti sono i farmaci ed i trattamenti high-tech in office. I farmaci sono principalmente volti alla modulazione dell’infiammazione e della risposta immunitaria ed includono inibitori della calcineurina (come la ciclosporina A), tetracicline e macrolidi somministrati per via sistemica o topica e l’uso off-label di corticosteroidi topici per terapia pulsata.

In Asia e negli Stati Uniti sono in commercio farmaci immunomodulatori o secretagoghi attualmente non disponibili in Italia.

I trattamenti high-tech in office, come la luce pulsate ad alta intensità, sono supportati da dati preliminari promettenti ma, complici anche le scarse esigenze regolatorie connesse alla loro immissione in commercio, molto resta ancora da capire circa le indicazioni ottimali ed il loro uso ideale nell’ambito di un algoritmo terapeutico personalizzato.

La fase 3 prevede: secretagoghi orali, sostituti lacrimali biologici a base di emoderivati, utilizzo di lenti a contatto terapeutiche, lenti sclerali rigide.

Infine, la fase 4 contempla: corticosteroide topico per durata maggiore (consapevoli dei rischi connessi ad un uso prolungato), trapianto di membrana amniotica ed approcci chirurgici e para-chirurgici di varia invasività.

Gli autori dichiarano l'assenza di qualsiasi conflitto d'interessi.

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