La cheratite da Acanthamoeba: diagnosi e terapia

cheratite da Acanthamoeba

La cheratite da Acanthamoeba è un’infezione corneale rara e potenzialmente molto severa. Il quadro clinico tipico, soprattutto nelle forme avanzate, è caratterizzato da dolore e un infiltrato stromale tipicamente ad anello. La diagnosi si basa sull’identificazione microbiologica tramite microscopia diretta e/o esame colturale. La microscopia confocale è utile per la diagnosi precoce ma non sostituisce le prove microbiologiche perché non permette di escludere infezioni concomitanti. La diagnosi precoce e il trattamento medico tempestivo sono fondamentali. Il trattamento più comunemente utilizzato è off label e consiste nella combinazione di PHMB 0.02% e propamidina 0.1%.


La cheratite da Acanthamoeba è un’infezione corneale rara e potenzialmente molto severa causata da Acanthamoeba spp., un genere di protozoi ubiquitari comunemente presenti nell’acqua e nel suolo.

La grande maggioranza dei casi di cheratite da Acanthamoeba coinvolge portatori di lenti a contatto (LAC) e soggetti con una storia di trauma corneale con materiale organico. Sebbene l’incidenza della malattia sia bassa (fino a 33 casi annuali per milione di portatori di LAC), è importante saperla riconoscere poiché le conseguenze possono essere devastanti, soprattutto in caso di ritardo diagnostico (1).

L’Acanthamoeba si può presentare in due forme: una forma attiva (trofozoite), e una forma cistica (dotata di una tipica doppia parete che rende l’ameba particolarmente resistente a condizioni ambientali avverse e all’azione di numerosi agenti antimicrobici).
Oltre alla cheratite, l’Acanthamoeba può essere responsabile anche dell’encefalite granulomatosa amebica, un’infezione del sistema nervoso centrale molto rara e pressoché sempre fatale.

Quadro clinico

È importante indagare la storia di utilizzo di LAC, il tipo di LAC, l’eventuale esposizione a fonti di contaminazione (incluse acque potabili), ed eventuali traumi corneali con materiale organico. Poiché il trattamento della cheratite da Acanthamoeba è lungo e non è privo di effetti collaterali, la prevenzione primaria mediante la riduzione dei fattori di rischio è essenziale. In particolare, i portatori di LAC vanno istruiti sull’importanza di evitare la contaminazione delle lenti con acqua non sterile e sulle corrette procedure di igiene per le LAC riutilizzabili.
Dal punto di vista sintomatologico, la cheratite da Acanthamoeba è spesso descritta come una cheratite accompagnata da un dolore violento e sproporzionato rispetto ai segni clinici. Questo è vero se si considera la fase già avanzata dell’infezione, quando il parassita ha infiltrato lo stroma e coinvolto i nervi corneali. Nelle forme iniziali però il dolore può essere molto lieve o addirittura assente e questo è importante ricordarlo per sospettare sempre l’Acanthamoeba, anche nelle cheratiti lievi e asintomatiche del portatore di LAC. Altri sintomi lamentati dal paziente includono calo visivo, sensazione di corpo estraneo, fotofobia, iperlacrimazione e secrezioni.
I segni iniziali dell’infezione amebica possono essere lievi e poco specifici. Le possibili manifestazioni includono irregolarità epiteliali, infiltrati epiteliali, erosioni ricorrenti e pseudo-dendriti. In questa fase l’infezione da Acanthamoeba viene spesso confusa con una cheratite erpetica (figura 1).

cheratite da Acanthamoeba
Fig. 1 Pseudodendriti in cheratite da Acanthamoeba. È importante la diagnosi differenziale con i dendriti erpetici, responsivi alla terapia con antivirali topici o sistemici. Una mancata risposta e una anamnesi positiva per i fattori di rischio della cheratite da Acanthamoeba deve far sospettare l’infezione amebica (Per gentile concessione del prof. Paolo Rama).

I segni più caratteristici di infezione amebica sono la presenza di un infiltrato stromale, tipicamente ad anello, con iperemia limbare e la presenza di infiltrati perineurali (figure 2-3).

In fase più avanzata posso comparire melting stromale, descemetocele e perforazione.
Occorre ricordare che il quadro clinico può essere complicato dalla presenza di infezioni concomitanti (batteri, herpes, funghi). Le indagini diagnostiche microbiologiche sono fondamentali non solo per confermare la presenza dell’Acanthamoeba, ma anche per escludere eventuali coinfezioni che possono complicare la gestione terapeutica.

Diagnosi

La diagnosi di cheratite da Acanthamoeba si basa sull’identificazione microbiologica del parassita mediante visualizzazione diretta al microscopio e/o crescita all’esame colturale (2). È richiesto il prelievo di parte di epitelio o di tessuto in disfacimento sui bordi dell’ulcera mediante spatola (scraping corneale). Quando possibile è utile ricercare le amebe anche nel liquido di conservazione delle LAC e sulle LAC stesse. Le metodiche diagnostiche includono:
microscopia diretta: il materiale prelevato viene apposto su vetrino e trattato con colorazioni specifiche, il risultato si ottiene in poche ore. Con il microscopio a fluorescenza è possibile evidenziare le cisti ed i trofozoiti dopo colorazione con “calcofluor white”.
Esame colturale: il materiale prelevato viene apposto su un terreno di coltura a base di agar batterizzato (ossia contenente una sospensione batterica, tipicamente di E. coli, che funge da supporto nutritivo per le amebe). È opportuno che le piastre vengano tenute in osservazione per almeno 4 settimane per aumentare la sensibilità dell’esame.
Microscopia confocale: metodica non invasiva che consente di mettere in evidenza le cisti e i trofozoiti nel tessuto corneale in vivo (figura 4).

Microscopia confocale
Fig. 4 Microscopia confocale. Sono visibili in vivo numerose cisti iperriflettenti a livello epiteliale compatibili con cisti da Acanthamoeba (Per gentile concessione del prof. Paolo Rama).

L’esame è operatore dipendente e richiede una buona collaborazione del paziente (la fotofobia e il dolore ne possono rendere problematica l’esecuzione). La microscopia confocale è utile nella diagnosi precoce di cheratite da Acanthamoeba (come per le cheratiti fungine), ma ha una scarsa utilità nel monitoraggio del decorso della malattia perché non permette di distinguere le cisti vive da quelle morte. La microscopia confocale non sostituisce comunque il prelievo corneale per esami microbiologici in quanto non permette di escludere la presenza di infezioni concomitanti (batteriche e virali).
Biologia molecolare (reazione a catena della polimerasi, PCR): consente di dimostrare la presenza di Acanthamoeba anche in quantità minime di tessuto corneale con elevata sensibilità e specificità, ma richiede un laboratorio attrezzato.

Terapia

La diagnosi precoce e il trattamento medico tempestivo hanno migliorato la prognosi di questa infezione. L’attuale regime di trattamento prevede l’utilizzo di agenti antimicrobici topici. Poiché la forma cistica dell’Acanthamoeba è estremamente resistente, è richiesta una terapia prolungata, la quale però non è sempre efficace (3). I farmaci più utilizzati attualmente, attivi sia contro i trofozoiti che le cisti, includono:
Biguanidi: PHMB (poliesametilene biguanide) 0.02 % e clorexidina 0.02%. Non sono in commercio e si ottengono con preparazione galenica;
Diamidine: propamidina esethionato 0.1% (Brolene, Sanofi UK), dibromopropamidina 0.15%, esamidina 0.1% (Desomedine, Chauvin, France). Entrambi i farmaci non sono in commercio in Italia.
La doppia terapia con biguanidi e diamidine viene somministrata ogni ora e per i primi 5-7 giorni. La frequenza viene poi man mano ridotta a una instillazione ogni 2 ore per 2-3 settimane e successivamente ogni 3 ore fino a risoluzione dei segni corneali. Viene mantenuta in seguito 4 volte al giorno per almeno un mese dalla completa risoluzione per evitare riaccensioni del processo infettivo da parte di cisti sopravvissute al trattamento. La risposta alla terapia è molto variabile da caso a caso e spesso viene proseguita per diversi mesi. Quando la terapia viene sospesa è necessario uno stretto monitoraggio del paziente per il rischio di riattivazione di cisti rimaste silenti.
Si è appena concluso uno studio prospettico di fase 3 (ODAK, Orphan Drug for Acanthamoeba Keratitis) che aveva l’obiettivo di valutare efficacia, sicurezza e tollerabilità di una soluzione oftalmica di PHMB allo 0,08% come monoterapia della cheratite da Acanthamoeba rispetto al trattamento off label più comunemente utilizzato, ossia la combinazione di PHMB 0.02% e propamidina 0.1%. I risultati, non ancora conclusivi, sono molto promettenti circa l’efficacia e la sicurezza della monoterapia con PHMB 0.08% (4).
L’uso dei corticosteroidi topici nella cheratite da Acanthamoeba è controverso: se da un lato può migliorare in modo significativo la sintomatologia e il quadro infiammatorio, in realtà maschera la reale risposta al trattamento, prolunga la durata della malattia e comporta rischi maggiori di complicanze. Per tale motivo, il loro utilizzo è fortemente sconsigliato da più esperti.
Nei casi resistenti alla terapia medica, l’unica soluzione rimane la cheratoplastica perforante terapeutica. Non ci sono infine evidenze che il trattamento di cross-linking sia efficace e privo di rischi.

Bibliografia:
  1. Somani SN, Ronquillo Y, Moshirfar M. Acanthamoeba Keratitis. 2021 Aug 11. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2022 Jan–. PMID: 31751053.
  2. Rama, P. and Matuska, S. Cheratite da Acanthamoeba, Società Italiana Uveiti e Malattie Infiammatorie Oculari. [online] Siumio.it. Available at: https://www.siumio.it/Cheratite_da_Acanthamoeba.html
  3. Lorenzo-Morales J, Khan NA, Walochnik J. An update on Acanthamoeba keratitis: diagnosis, pathogenesis and treatment. Parasite. 2015;22:10. doi: 10.1051/parasite/2015010. Epub 2015 Feb 18. PMID: 25687209; PMCID: PMC4330640.
  4. Final Report Summary – ODAK (Orphan Drug for Acanthamoeba Keratitis) | Report Summary | ODAK | FP7 | CORDIS | European Commission.