Strumentazione ad alta tecnologia per la diagnosi dell’occhio secco

High-tech equipment for dry eye diagnosis

Fig. 3 Valutazione del tear meniscus tramite Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 3 Valutazione del tear meniscus tramite Keratograph 5M (Oculus).

Riassunto

La dry eye disease (DED) è una condizione multifattoriale complessa, spesso difficile da diagnosticare per la scarsa correlazione tra segni e sintomi. I metodi tradizionali, pur accurati, sono invasivi, necessitano di tempo e sono soggetti alla variabilità dell’osservatore. Le nuove tecnologie non invasive offrono esami rapidi, automatizzati e riproducibili, ideali per lo screening preoperatorio e il monitoraggio terapeutico. Tuttavia, non sostituiscono completamente i test convenzionali, e l’approccio più efficace oggi è quello integrato, che combina gli strumenti tradizionali e quelli recenti per una diagnosi più completa e affidabile.

La dry eye disease (DED) rappresenta una delle condizioni oftalmologiche più comuni e al contempo complesse, caratterizzata da una perdita dell’omeostasi della superficie oculare (1). Come definito dal TFOS DEWS II (2017), si tratta di una patologia multifattoriale che coinvolge instabilità del film lacrimale, iperosmolarità, infiammazione e disfunzioni neurosensoriali (2). I sintomi riferiti includono bruciore, arrossamento, sensazione di corpo estraneo, visione offuscata, lacrimazione paradossa e fotofobia. L’insieme configura una condizione cronica e difficile, rappresentante un importante burden economico non solo per il paziente, ma anche per la società (3).

Diagnosticare in maniere diretta una DED può essere una sfida non di poco conto, a causa di segni oggettivi e sintomi soggettivi scarsamente correlati, una combinazione valutata tradizionalmente con questionari, esame alla lampada a fessura, nonché esami invasivi e non, gravati da soggettività, tempistiche lunghe, documentazione difficile e mancanza di un dataset organico per il confronto.

Il report del TFOS DEWS II dedicato alla metodologia diagnostica ha proposto un algoritmo strutturato basato su un'analisi a tappe, che prevede, dopo un primo screening anamnestico, la valutazione dei sintomi riferiti dal paziente e di specifici indicatori dell’omeostasi della superficie oculare, come il tempo di rottura del film lacrimale (in modalità non invasiva o con fluoresceina), l’osmolarità lacrimale e la colorazione della superficie oculare. Tuttavia, lo stesso documento ha sottolineato che, ad oggi, non esiste un test diagnostico universalmente riconosciuto come “gold standard”, evidenziando la necessità di individuare nuovi biomarcatori affidabili e riproducibili (4).

In anni recenti nuove metodiche di imaging e dispositivi per la valutazione della superficie oculare sono stati sviluppati e messi sul mercato, offrendo nuove possibilità diagnostiche nell’universo della DED e non solo. Questi dispositivi offrono una modalità d’esame rapida, automatizzata, accurata documentazione e database software, a cui si aggiunge non per ultimo una modalità di esame non o minimamente invasiva, evitando bias e una possibile compromissione dei successivi test, rappresentando un’innovazione nella diagnostica della superficie oculare (5-7) (fig. 1).

Fig. 1A Dry eye report ottenuto mediante l’utilizzo del Keratograph 5M (Oculus Optikgeräte GmbH, Wetzlar, Germania). Una combinazione di cinque parametri (altezza del menisco lacrimale, break-up time non invasivo, rossore congiuntivale, meibografia e congiuntivochalasi) viene visualizzata su un grafico radar a forma di pentagono.
Fig. 1A Dry eye report ottenuto mediante l’utilizzo del Keratograph 5M (Oculus Optikgeräte GmbH, Wetzlar, Germania). Una combinazione di cinque parametri (altezza del menisco lacrimale, break-up time non invasivo, rossore congiuntivale, meibografia e congiuntivochalasi) viene visualizzata su un grafico radar a forma di pentagono.
Fig. 1B Dry eye report ottenuto mediante l’utilizzo del Keratograph 5M (Oculus Optikgeräte GmbH, Wetzlar, Germania). Una combinazione di cinque parametri (altezza del menisco lacrimale, break-up time non invasivo, rossore congiuntivale, meibografia e congiuntivochalasi) viene visualizzata su un grafico radar a forma di pentagono.
Fig. 1B Dry eye report ottenuto mediante l’utilizzo del Keratograph 5M (Oculus Optikgeräte GmbH, Wetzlar, Germania). Una combinazione di cinque parametri (altezza del menisco lacrimale, break-up time non invasivo, rossore congiuntivale, meibografia e congiuntivochalasi) viene visualizzata su un grafico radar a forma di pentagono.

La combinazione di queste tecniche in un esame completo della superficie oculare può aumentare la sensibilità e la specificità per diagnosticare la malattia e monitorarne il decorso dopo trattamenti specifici.

Diversi sono i parametri che possono essere tenuti in considerazione nella valutazione diagnostica-strumentale dell’occhio secco:

  • Noninvasive Tear Break-Up Time (NIBUT)
  • Meibografia
  • Interferometria
  • Tear Meniscus
  • Bulbar Redness
  • Abortive Blinking.

N.I.B.U.T.

La stabilità del film lacrimale precorneale è un elemento fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi della superficie oculare ed è considerata un parametro chiave nella diagnosi della DED (8). Il film lacrimale rappresenta infatti la prima interfaccia ottica tra l’aria e la superficie dell’occhio, a causa della marcata differenza di indice di rifrazione tra questi due mezzi, eventuali disomogeneità nella struttura del film influenzano significativamente la qualità ottica. Nella DED, un deficit quantitativo e/o qualitativo del film lacrimale determina irregolarità superficiali e/o una sua precoce interruzione (9). In ambito clinico, il test più comunemente utilizzato per valutare la stabilità del film lacrimale è il Break-Up Time con fluoresceina (BUT), che misura l’intervallo tra l’apertura delle palpebre dopo un ammiccamento completo e la comparsa della prima discontinuità nel film lacrimale. Tuttavia, l’uso della fluoresceina può alterare il risultato finale, in quanto la concentrazione e il volume del colorante influenzano la misurazione. Per questo motivo, il Break-Up Time non invasivo (NIBUT) ha trovato ampia applicazione sia nella pratica clinica sia nella ricerca. Secondo il report DEWS II, un valore di NIBUT ≤ 10 secondi è considerato indicativo di DED, con una sensibilità compresa tra l’82% e l’84% e una specificità tra il 76% e il 94% (4). Attualmente sono disponibili diversi sistemi commerciali per la misurazione del NIBUT, basati su metodi topografici o videocheratografici. Questi dispositivi analizzano le modifiche delle mire di Placido riflesse tra un ammiccamento e l’altro; le alterazioni nei bordi sono indicative di una compromissione dell’integrità del film lacrimale. Uno studio di Bandlitz et al. ha dimostrato che esiste una buona concordanza e ripetibilità tra dispositivi soggettivi e oggettivi (10).

Il Keratograph 5M (Oculus Optikgeräte GmbH, Wetzlar, Germania) consente la misurazione quantitativa di due parametri specifici:

  • NIBUT f: tempo alla prima rottura del film lacrimale;
  • NIBUT av: media di tutte le rotture osservate sull’intera superficie corneale.

Entrambi i parametri si sono dimostrati correlati con il punteggio dell’Ocular Surface Disease Index (OSDI), indicatore soggettivo della sintomatologia del paziente (11) (fig. 2).

Fig. 2 Esame NIBUT (Non-Invasive Break-Up Time) effettuato con un dispositivo Oculus Keratograph 5M, utilizzato per valutare la stabilità del film lacrimale senza l’uso di fluoresceina.
Fig. 2 Esame NIBUT (Non-Invasive Break-Up Time) effettuato con un dispositivo Oculus Keratograph 5M, utilizzato per valutare la stabilità del film lacrimale senza l’uso di fluoresceina.

Meibografia

La meibografia consente l’osservazione della struttura morfologica delle ghiandole di Meibomio (MG) su un piano bidimensionale. La tecnica è stata introdotta per la prima volta nel 1977 da Tapie, il quale utilizzò la transilluminazione attraverso la cute palpebrale mediante una sonda luminosa per acquisire immagini delle MG (12). In seguito, il metodo è stato perfezionato grazie a diverse tecniche che permettono la visualizzazione delle MG su pellicola in bianco e nero, su pellicola a infrarossi utilizzando una telecamera CCD (charge-coupled device) sensibile al vicino infrarosso, oppure direttamente con una telecamera CCD a infrarossi (12). Negli ultimi dieci anni sono state sviluppate tecniche non a contatto basate su filtri a infrarossi e telecamere CCD a infrarossi, che consentono la registrazione dell’immagine per transilluminazione dal lato congiuntivale della palpebra (13). La meibografia non a contatto si basa sull’autofluorescenza del meibum sano quando viene illuminato con luce infrarossa; questa autofluorescenza viene rilevata da una telecamera CCD a infrarossi, facendo apparire le ghiandole come aree chiare su uno sfondo più scuro, mentre eventuali alterazioni del meibum o perdita di tessuto acinare si presentano come aree scure (13). Le recenti innovazioni tecnologiche hanno portato allo sviluppo di numerosi dispositivi portatili, a forma di penna, multifunzionali (basati su lampada a fessura, mobili e dotati di topografia) dotati di diodi a emissione di luce infrarossa integrati con telecamere a infrarossi. Questi sistemi permettono la registrazione di immagini e video delle MG, migliorando la fattibilità della valutazione ambulatoriale (14,15). Nella pratica clinica, i sistemi di classificazione della struttura delle MG vengono utilizzati per documentare la presenza, la progressione e la risposta al trattamento della disfunzione delle ghiandole di Meibomio (MGD). I sistemi più utilizzati sono il Meiboscore e il Meibograde: entrambi si basano sulla percentuale di perdita dell’area ghiandolare, ma il Meibograde presenta una sensibilità maggiore, in grado di rilevare cambiamenti minori nelle MG (16). Sebbene le alterazioni funzionali e morfologiche delle MG siano spesso considerate ben correlate, la sola meibografia non appare sufficiente per la diagnosi di MGD, ma dovrebbe essere interpretata in associazione con altri parametri clinici (ad esempio il BUT e l’esame del margine palpebrale) o con altre tecniche di imaging, come la microscopia confocale in vivo (IVCM) (17).

Interferometria

Lo strato lipidico del film lacrimale è composto principalmente da lipidi meibomiani, che derivano dai serbatoi marginali delle palpebre. Questo strato svolge un ruolo cruciale nella stabilità del film lacrimale e nel mantenimento della salute della superficie oculare, impedendo l’eccessiva evaporazione della componente acquosa. Nella MGD ostruttiva o iposecretiva, l’assottigliamento dello strato lipidico porta a una evaporazione eccessiva, causando una DED di tipo evaporativo (18). Quando una luce adeguata colpisce uno strato oleoso, si genera una frangia interferometrica. I modelli di interferenza si producono a causa della differenza di fase tra la luce riflessa dallo strato lipidico e quella riflessa dall’epitelio corneale (19). Le interferenze da film sottili mostrano colori differenti a seconda dello spessore del film: colori più scuri sono associati ad aree più sottili, mentre colori più chiari indicano aree più spesse. L’interferometria della superficie oculare basata su imaging è una tecnica non invasiva che consente la misurazione dello spessore dello strato lipidico (LLT) su scala nanometrica. Negli occhi sani, il LLT è stato stimato intorno ai 70 nm.

Attualmente sono disponibili diversi dispositivi per imaging interferometrico, tra cui:

  • Telecamera DR-1 per l’interferenza lacrimale (Kowa Co., Nagoya, Giappone) (20)
  • Interferometro LipiView II (TearScience Inc., Morrisville, NC, USA) (21)
  • Lipiscanner 1.0 (Visual Optics, Chuncheon, Corea), integrabile con una lampada a fessura esistente (22)
  • Oculus Keratograph 5M (Oculus, Arlington, WA, USA) (23)
  • IDRA (Sbm Sistemi, Torino, Italia) (24).

La telecamera DR-1α consente un’analisi qualitativa dello strato lipidico. Yokoi et al. hanno proposto un sistema di classificazione basato sui primi fotogrammi stabili registrati dalla DR-1α (25). Utilizzando la DR-1α, è possibile valutare la cinetica di diffusione e la stabilità dello strato lipidico. Goto et al. hanno valutato la velocità e il pattern di diffusione del lipide dopo l’apertura palpebrale e la stabilità del film successiva, osservando che nei pazienti con deficit di strato lipidico la diffusione risultava lenta, con pattern striati verticali e non uniformi (26). Arita et al. hanno dimostrato che la DR-1α è in grado di misurare l’altezza del menisco lacrimale (TMH) con un’affidabilità paragonabile all’AS-OCT, e che la misura interferometrica del TMH è correlata con il test di Schirmer (27). Questo dispositivo può anche supportare la diagnosi differenziale dei sottotipi di DED; infatti, sempre Arita et al. hanno identificato una correlazione diretta tra tre pattern interferometrici (tipo perla, Giove o cristallo) e i valori di BUT, NIBUT e test di Schirmer (28). L’interferometro LipiView II (LVII) permette una misurazione quantitativa dello spessore medio dello strato lipidico (LLT) attraverso l’analisi del pattern interferometrico, del tasso di ammiccamento parziale, e utilizza una sorgente a infrarossi per l’imaging delle MG. Lee Y. et al. hanno dimostrato che il valore medio di LLT è positivamente correlato con l’età, con l’OSDI e con l’Ocular Staining Score, ma non con il test di Schirmer tipo I, il BUT o il meiboscore (29).

Tear Meniscus

Il tear meniscus è la sottile striscia di lacrime che si accumula lungo il margine palpebrale, rappresentando circa il 75–90% del volume totale del film lacrimale. La sua altezza, nota come tear meniscus height (TMH), è un indicatore diretto del volume lacrimale e della stabilità del film lacrimale. Valori di TMH inferiori a 0,2 mm sono associati a dry eye disease (DED), in particolare nella forma ipoacquosa. Disponiamo di diversi strumenti per la valutazione del tear meniscus:

  • AS-OCT (tomografia a coerenza ottica del segmento anteriore): consente la misurazione non invasiva e ad alta risoluzione del TMH, della profondità e dell'area del tear meniscus (30);
  • DR-1α (Kowa): utilizza l'interferometria per analizzare la distribuzione del film lacrimale e valutare il TM (31);
  • Keratograph 5M (Oculus): combina la topografia corneale con la valutazione non invasiva del TMH e del tempo di rottura del film lacrimale (NIBUT).

La valutazione del tear meniscus è essenziale nella diagnosi e nel monitoraggio della DED, offrendo informazioni preziose sulla quantità e sulla qualità del film lacrimale, indiretta misura della produzione lacrimale (fig. 3).

Fig. 3 Valutazione del tear meniscus tramite Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 3 Valutazione del tear meniscus tramite Keratograph 5M (Oculus).

Bulbar redness

La bulbar redness (BR), ovvero l’arrossamento bulbare, è una condizione oculare aspecifica causata dalla vasodilatazione dei vasi sanguigni congiuntivali e/o sclerali anteriori, a sua volta dovuta a un aumento del flusso ematico e della permeabilità capillare nei tessuti oculari anteriori in risposta a diversi stimoli (32). Fin dall’introduzione, nel 1987, da parte di McMonnies e Chapman-Davies di una scala di valutazione dell’iperemia bulbare basata su immagini, sono state proposte diverse scale soggettive per ridurre la variabilità intra- e inter-osservatore (33,34). La ricerca scientifica ha cercato di superare tali limiti mediante lo sviluppo di modelli computazionali per l’analisi delle immagini, evolutisi oggi in sistemi automatizzati basati su intelligenza artificiale (AI) (35). Wu et al. hanno valutato la BR utilizzando il topografo Oculus Keratograph 5M, dotato di software di scansione e punteggio automatici, riscontrando una correlazione statisticamente significativa tra l’Oculus Index e tre scale soggettive (Institute for Eye Research, scala di Efron, e scala Validated Bulbar Redness a 10 immagini) (36,37). Inoltre, hanno evidenziato una maggiore riproducibilità intra- e inter-osservatore con il Keratograph, suggerendone il potenziale per risparmiare tempo in ambito clinico (38). Nonostante l’introduzione di strumenti avanzati che facilitano la valutazione della BR nei pazienti con DED, la maggior parte dei sistemi automatici non è in grado di distinguere l’iperemia congiuntivale bulbare da quella episclerale o sclerale, sollevando dubbi sull’utilizzo della BR come biomarker affidabile (39) (fig. 4).

Fig. 4A Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 4A Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 4B Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 4B Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 4C Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).
Fig. 4C Valutazione automatizzata della bulbar redness (arrossamento congiuntivale bulbare), eseguita con il Keratograph 5M (Oculus).

Abortive blinking

L’abortive blinking (ammiccamento abortivo/parziale) è un fenomeno frequentemente osservato nei pazienti con occhio secco, in particolare nella sindrome da disfunzione lacrimale. Si riferisce a un ammiccamento incompleto, in cui le palpebre non si chiudono completamente durante un battito. Questo tipo di ammiccamento è spesso involontario e più frequente nei soggetti con secchezza oculare (40). La valutazione può essere affidata a:

  • analisi dell’ammiccamento con strumenti video (es. blinking analyzer) o registrazioni in slow motion;
  • tecniche di imaging come OCT palpebrale o videografia a infrarossi per misurare la frequenza di ammiccamenti incompleti (fig. 5).

Fig. 5 Esempio di funzionamento software per la valutazione dell’abortive blinking

Abortive blinking

L'esame mostra tutti i battiti di ciglia identificati entro 60 secondi per determinare i battiti completi e abortivi.

Il software analizza i battiti di ciglia in un minuto, distinguendo tra completi e incompleti. I battiti incompleti causano una distribuzione irregolare del film lacrimale, soprattutto della componente lipidica, poiché le palpebre non si chiudono completamente. Questo problema è più grave negli anziani, poiché la tonicità delle palpebre e la qualità della contrazione diminuiscono con l'età.

Pros & Cons

Le nuove tecniche diagnostiche non invasive per l’inquadramento della DED offrono numerosi vantaggi rispetto ai test convenzionali. Il principale vantaggio riguarda la loro natura automatizzata, che rende non necessario il giudizio clinico per determinare un punteggio. Questo è clinicamente rilevante poiché i marker soggettivi della DED, come il BUT con fluoresceina e la colorazione corneale, presentano una bassa ripetibilità tra osservatori a causa della mancanza di standardizzazione. Inoltre, la maggior parte di queste nuove tecniche diagnostiche non richiede contatto diretto con l’occhio e pertanto ha un impatto minimo o nullo sul volume e sulle proprietà del film lacrimale. Per questo motivo, possono essere utilizzate come strumenti di screening (ad esempio, prima di un intervento oculare) da personale medico formato (non necessariamente un oculista), prima di procedere a esami della superficie oculare più invasivi in caso di rilevamento di valori anomali. In aggiunta, queste tecniche forniscono report chiari e dettagliati che riassumono tutti i risultati dei test per ciascuna visita del paziente, i quali possono essere utilizzati per confronti futuri e monitoraggio. I dispositivi "all-in-one" (una sola macchina per più esami) permettono di arrivare alla diagnosi di DED in tempi molto più brevi rispetto all’iter diagnostico tradizionale (ad esempio, sono sufficienti 3 minuti per eseguire un work-up completo della superficie oculare con Idra), e rappresentano una guida per il trattamento basato sull’imaging: vengono identificate le componenti carenti del film lacrimale e può essere prescritta una terapia mirata. Allo stesso modo, anche il monitoraggio dell’andamento clinico del paziente nel tempo risulta semplificato grazie all’uso di questi dispositivi, e l’evoluzione di un singolo parametro (ad esempio, il NIBUT) dopo una determinata terapia può essere rappresentata e analizzata graficamente. Tuttavia, vanno menzionati alcuni limiti di queste nuove tecniche diagnostiche. In particolare, il costo può rappresentare un ostacolo significativo alla loro diffusione, e sono ancora necessarie valutazioni di costo-efficacia per supportarne l’adozione su larga scala. Inoltre, condizioni oftalmologiche diverse dalla DED possono generare fenomeni che riducano l’accuratezza diagnostica, soprattutto se l’interpretazione delle immagini non è effettuata da un oculista e/o non viene eseguito l’esame alla lampada a fessura. Ad esempio, la congiuntivocalasi può ostacolare la misurazione accurata dell’altezza del menisco lacrimale (TMH), portando a una sovrastima del valore, mentre lesioni congiuntivali, come lo pterigio, possono alterare in modo significativo il rossore bulbare, aumentandone il valore nella zona colpita. Va inoltre sottolineato che i nuovi test non possono ancora sostituire completamente i parametri tradizionali della DED, e che l’esame alla lampada a fessura rimane necessario per completare il work-up diagnostico. Infine, come per i test tradizionali per la DED, è importante prestare attenzione all’ordine con cui vengono eseguiti gli esami diagnostici. Infatti, anche se questi test di norma non richiedono il contatto con la superficie oculare, la lacrimazione indotta dalla luce deve essere considerata, poiché potrebbe influenzare i risultati degli esami successivi. In secondo luogo, in caso di differenze significative tra i due occhi dello stesso paziente, i risultati devono essere interpretati con cautela, ed è consigliabile effettuare valutazioni multiple su entrambi gli occhi.

Take home message

In conclusione, la diagnosi convenzionale della DED richiede precisione e attenzione. I nuovi dispositivi "all-in-one" offrono un’alternativa rapida, non invasiva e automatizzata, utile non solo per lo screening preoperatorio dei pazienti con DED, ma anche per guidare terapie mirate, monitorare l’efficacia del trattamento nel tempo e migliorare l’aderenza del paziente alla terapia. Tuttavia, è fondamentale prestare attenzione agli artefatti e mantenere un approccio clinico critico. Ad oggi un percorso diagnostico efficiente dovrebbe integrare i dati derivanti dai metodi convenzionali con quelli ottenuti dalle misurazioni automatizzate.

Gli autori dichiarano l’assenza di conflitti di interesse.

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