30Molte volte ho pensato a come sarebbe il mondo in bianco e nero o, meglio, a come verrebbe percepito dall’uomo senza colori, né sfumature. I nostri occhi, molto probabilmente, coglierebbero con fatica le differenze e i dettagli dei vari elementi che compongono gli ambienti in cui viviamo. Tutto potrebbe risultare così indistinto da non lasciare spazio a interpretazioni e percezioni soggettive.
D'altronde, è ormai riconosciuto come l’emotività umana sia fortemente condizionata dal colore. Il colore, infatti, in quanto sensazione che viene elaborata nel cervello, è in grado di suscitare conseguenze a livello fisico, emotivo e psicologico.
La luce (composta di diverse lunghezze d’onda) che entra nei nostri occhi subisce una prima elaborazione nella retina, per poi raggiungere le reti neurali responsabili della visione e diventare colore (senso cromatico).
È proprio il colore a “solleticare” le nostre sensazioni, fino a diversificarle per ciascuno di noi. La percezione di ciò che vediamo si traduce in modo differente in ogni essere umano e per questo è in grado di suscitare nella mente reazioni psicologiche uniche.
Oscar Wilde nella sua lettera De Profundis affermava (Oscar Wilde, De Profundis, Feltrinelli, Milano 2014):«È dentro il cervello che il papavero è rosso, la mela odora e l’allodola canta.»
Come dargli torto!
Pensiamo, ad esempio, ai diversi sentimenti che suscita la vista di un prato fiorito in una bella mattinata di sole rispetto a quella di una giornata grigia di pioggia. Tale differenza non dipende esclusivamente dal nostro modo di percepire i colori esterni, ma anche dalla specifica modalità con cui li rivisitiamo emozionalmente.
La teoria dei colori
Il colore è da sempre utilizzato come strumento di comunicazione di sentimenti e di simboli legati a fini pratici (es. la religione), tanto da suscitare, sin dai tempi antichi, molti scienziati e poeti del passato, tra cui Leonardo Da Vinci, Newton, Goethe e Itten, i quali partendo dalla domanda “cos’è il colore?” hanno sviluppato diverse teorie.
Nel 1704, con la pubblicazione del trattato “Optiks”, Isaac Newton, che possiamo considerare il fondatore della moderna scienza del colore, presentò la sua teoria sulla luce e sui colori. Con il celebre esperimento di dispersione della luce (attraverso il prisma), affermò che il colore non è una proprietà dei corpi, bensì è dovuta ad una proprietà della luce e che quindi i colori sono tutti i contenuti nella luce bianca, che quindi può essere suddivisa nei diversi colori, e a partire da quella ricomposta. In particolare, Newton giunse alla conclusione che il colore degli oggetti che ci circondano è legato al modo di reagire delle superfici alla luce (con la conseguenza che ad esempio un oggetto rosso ha questo colore perché trattiene tutti gli altri colori e ci spedisce indietro solo il rosso), escludendo categoricamente la possibilità che al buio vi possano essere dei colori, in quanto i colori sono inscindibilmente legati alla presenza della luce.
Più tardi, tra la fine del ‘700 e inizio ‘800, Johann Wolfgang von Goethe, con il suo saggio del 1810 “La Teoria dei Colori”, in tedesco Zur Farbenlehre, tentò di farsi portavoce di una lettura “rivoluzionaria” dello studio dei colori e, attaccando le teorie di Newton, sostenne che non è la luce bianca a scaturire dalla sovrapposizione dei colori, bensì il contrario; i colori non sono “primari”, ma consistono in un offuscamento della luce, o nell’interazione di questa con l’oscurità. A prescindere dalla poco fortuna che le teorie di Goethe ebbero tra gli scientifici (a differenza di quanto avvenne tra gli artisti, i quali accolsero con favore i risultati del poeta), si deve evidenziare che, con i suoi studi scientifici, Goethe mise in risalto la complessità del fenomeno cromatico, dando atto dell’ingerenza non trascurabile che l’organo della vista assume in tale fenomeno e, al contempo, dell’influenza che i colori generano sulla psiche. Egli, infatti, considerò l’occhio stesso come il generatore dei colori, sostenendo conseguentemente che senza di esso non sarebbero di fatto esistiti, realizzando così un importante stimolo sia per le considerazioni filosofiche sul colore, sia per lo sviluppo della scienza della colorimetria (tra gli altri, “Il colore dei colori", Pietro Simondo, 1990; “Dal pendolo al quark", Ugo Amaldi, 1995).
Un ulteriore e decisivo passo avanti si ha con Harald Küppers, secondo il quale gli esseri umani ricevono informazioni per mezzo della vista e tali informazioni visive sono sempre a colori. Le forme, infatti, sarebbero riconoscibili soltanto perché sul campo visivo vi sono differenze di colore. Nel “Grande atlante dei colori” Kuppers precisa che un osservatore con una capacità visiva normale è in grado di distinguere tra 100.000 ed 1 milione di “nuances” di colore.
In realtà, resta una differenza sostanziale tra le infinite varietà cromatiche teorizzate e ciò che realmente il nostro sistema visivo percepisce. I colori sono dentro di noi, e nessuno mai potrà comprendere come noi li vediamo e proprio per questo sono capaci di influenzare la mente dell’uomo, la sua cultura e spesso anche le sue scelte e condotte. Pensiamo all’astrologia che spesso pone in risalto come nell’umano, a seconda del segno zodiacale, vi sia associato non solo una tipologia di carattere ma anche la predilezione verso un determinato colore. Ad esempio, chi è del segno del Toro tendenzialmente preferisce i colori della terra come il giallo, l’arancione, il rosso e il marrone.
I colori e il loro significato
Partiamo dal rosso, il colore del sangue e del fuoco, considerato un eccitante del sistema nervoso (Elliot, A. J., and Aarts, H. Perception of the color red enhances the force and velocity of motor output. Emotion 11, 445–449, 2011). Non a caso l’espressione “sei rosso come un peperone” viene utilizzato per indicare quando una persona è arrabbiata oppure fortemente imbarazzata per essere, ad esempio, stata colta in fallo per aver raccontato una bugia.
Il rosso è il colore per eccellenza. L’uso dei pigmenti rossi viene dagli albori dell’umanità. Basti pensare ai disegni delle grotte rupestri ottenuti con il rosso di garanza ricavato dalla Robbia, una pianta dalle radici tintorie, oppure ai Fenici che coloravano i tessuti con la porpora estratta dalle lumache di mare (Murice comune).
Il rosso è, poi, un colore “simbolo”. È l’emblema della passione, anche quella più “piccante”. Richiama il sangue, in primis quello versato dal Cristo lungo il calvario con la croce sulle spalle. In medicina, oltre al colore del sangue, il rosso è anche il colore dell’infiammazione; il celebre “rubor” o rossore cutaneo si manifesta quando è presente un’infezione. Come non citare, poi, il rosso “nazionale” del tricolore che rappresenta il sangue dei caduti durante le guerre per la libertà e la democrazia.
Più “solari” sono, invece, il giallo e l’arancione. Colori caldi e “accoglienti” per eccellenza, che richiamano alla mente la freschezza e l’intensità degli agrumi. In particolare, l’arancione – che, in oftalmologia, è il colore della retina –, è molto utilizzato in cromoterapia per curare la depressione. Diversi studi dimostrano come tale colore stimoli in modo positivo l’umore delle persone (Costa M, Frumento S, Nese M, Predieri I. Interior color and psychological functioning in university residence hall. Front Psychol. 9:1580, 2018). L’arancione irradia calore e felicità, combinando l’energia fisica e la stimolazione del rosso con l’allegria del giallo. Le persone che prediligono i colori arancione e rosso hanno, infatti, comportamenti volitivi e la tendenza verso un solido pragmatismo.
Purtroppo, in ambito medico, il giallo abbandona il suo significato positivo; infatti, quando i livelli di bilirubina nel sangue superano i valori di normalità, come succede in presenza di malattie epatiche, chi è affetto da tale disfunzione assume un caratteristico colore “giallastro”.
Il verde, invece, è il colore che rilassa. Alcuni studi hanno evidenziato un miglioramento della “performance” in concomitanza della visualizzazione del video in versione “green”. In quel contesto, si sono riscontrati meno disturbi dell’umore e percepito uno sforzo minore rispetto a quanto avvenuto nel contesto delle altre due condizioni ambientali (Akers A, Barton J, Cossey R, Gainsford P, Griffin M, Micklewright D. Visual color perception in green exercise: positive effects on mood and perceived exertion. Environ Sci Technol. 46(16):8661-866, 2012). Il risultato non crea certo stupore considerato che il verde rappresenta la natura, l’habitat naturale dell’uomo. Basti pensare alla sensazione di pace che tendenzialmente si avverte quando si entra in un bosco dove tutto sembra avere un equilibrio perfetto.
Non a caso parchi, boschi, montagne sono spesso scelti quali “set” per lo svolgimento di corsi di yoga, momenti di meditazione o ritiri spirituali/religiosi. Il verde come richiamo alla sacralità della natura si ritrova, ad esempio, nell’islam primitivo. Al tempo di Maometto, infatti, ogni luogo verdeggiante era sinonimo di oasi, di paradiso. Si dice che il Profeta stesso fosse solito portare un turbante e una bandiera verdi (Michel Pastoureau, Dominique Simonnet. Il piccolo libro dei colori. Ponte delle Grazie. Milano 2004).
Anche in economia il verde conserva il suo significato positivo, con particolare riferimento al concetto di sostenibilità (consideriamo il termine “green economy”), simboleggiando quel tentativo disperato, speriamo reale, da parte dell’uomo consumatore di porre rimedio allo sfruttamento incondizionato del nostro pianeta. È invece in ambito medico che il colore in esame vanta una pessima storia. A cavallo tra l’800 e la metà del 900 per tinteggiare i tessuti, le carte da parati o addirittura le copertine dei libri di verde veniva utilizzato un impasto al quale veniva aggiunto l’arsenico. La tossicità dell’arsenico nei confronti degli uomini esposti per lunghi periodi è stata spesso descritta lungo i secoli passati (D. E. H. Jones, K. W. D. Ledingham, “Arsenic in Napoleon’s wallpaper”, Nature, 299, 1982).
Concludiamo con il blu e l’azzurro, i colori del cielo e del mare. Chi ama l’azzurro è tendenzialmente una persona che è in pace con sé stessa e vive di buone relazioni con gli altri. Coloro che amano il blu e l’azzurro hanno la tendenza a vivere con il naso all’insù, verso l’infinito, prospettando progetti futuri. Si tratta di persone mosse da grandi ideali. D’altronde, l’azzurro è il colore del manto della Santa Vergine, la quale in un certo senso è stata la promotrice del significato aulico di tale colore, che è diventato, con il tempo, il colore della pace. Tali colori, tuttavia, non sono sempre associati a sensazioni e stimoli positivi. E infatti, un’eccessiva esposizione alla luce blu può influenzare il sonno alterando il ritmo circadiano (l’orologio naturale del sonno del tuo corpo) rendendo più difficile addormentarsi. Si pensi ad esempio ai bambini che, quando vanno al mare, a causa dell’impatto con un elevato carico di luce e della persistenza del colore azzurro (cielo e mare), sono spesso agitati, fino a non riuscire a dormire. Ancora più stimolante risulta la luce blu “artificiale” proveniente dagli schermi di smartphone e tablets, che inganna il nostro cervello portandolo a ritenere che sia ancora giorno, con conseguenti problemi d’insonnia. Infine, la locuzione idiomatica “avere una fifa blu” che viene utilizzata per descrivere quando si ha paura. Il viso, in questa circostanza, assume un colorito così pallido da sembrare quasi bluastro frutto probabilmente della vasocostrizione del circolo vascolare periferico.
Conclusioni
La mente dell’uomo è portata di default a catalogare significative quantità di variazioni cromatiche, con la conseguenza che in qualsiasi istante attinge immagini colorate da questa immensa banca dati in modo estremamente naturale e automatico, senza quindi rendersene conto. È anche vero che questo costante e sistematico “immagazzinamento” di colori e sfumature incide sulla nostra memoria cromatica, rendendoci spesso difficile cogliere la differenza tra due colori guardandoli separatamente. Di norma, infatti, la differenza cromatica salta immediatamente all’occhio se i due colori sono vicini.
In ogni caso, possiamo dire che i colori sono dentro di noi, tanto da esprimere per mezzo di essi il nostro stato d’animo e la nostra personalità (pensiamo, ad esempio, ai colori dei vestiti che indossiamo o a quello degli oggetti di cui ci circondiamo).
Sotto un profilo più propriamente medico, la riprova di quanto detto è in qualche modo il “daltonismo”, condizione nota anche come “cecità ai colori”, e consistente nella parziale o totale inabilità a percepire i colori. Essere daltonici non significa non vedere i colori, ma avere una percezione diversa degli stessi. I soggetti affetti da daltonismo, infatti, si accorgono del loro problema solo quando si confrontano con un test di riferimento in grado di catalogare con precisione il deficit cromatico. A prescindere dal daltonismo, e da altri fattori (sia “biologici” come la stanchezza della retina o l’età, sia ambientali, come la luce, lo sfondo, etc.) la percezione del colore è sempre il frutto di una valutazione soggettiva: è assai ricorrente che uno colore si “manifesti” agli occhi di diversi soggetti in diverse sfumature e tonalità.
Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima.
(W. Kandinsky)