
Intervista a Alessandro Arrigo, Specialista di Retina Medica, Ospedale San Raffaele (MI)
1.
Quanto è riconosciuta l’importanza di attenzionare i sintomi dell’occhio secco nei pazienti sottoposti a iniezioni intravitreali?
Spesso i sintomi dell’occhio secco sono sottovalutati, perché si tende a ragionare a compartimenti stagni, ossia a occuparsi solo del problema più impellente, nello specifico la gestione della maculopatia. Questo è un atteggiamento che si riscontra sia nel medico sia nel paziente. Spesso, di conseguenza, non si applica una valutazione a 360° dello stato di salute dell’occhio. Inoltre, si tende ad attribuire i sintomi segnalati non effettivamente all’occhio secco, ma ad esempio all’utilizzo dei disinfettanti, spesso indicando erroneamente la presenza dei sintomi riferiti dal paziente come sospetta allergia ad essi; ciò accade, perché non si fa un’indagine accurata dello stato della superficie prima della procedura iniettiva. Quest’ultima contribuisce al peggioramento generale della superficie oculare, perpetuando il suo circolo vizioso e causando, nei casi più gravi, un ulteriore peggioramento dell’acuità visiva. Infine, anche l’età gioca un ruolo importante; sappiamo che le persone più anziane, che rappresentano anche la maggioranza di coloro che ricorrono alle iniezioni intravitreali, hanno una maggiore probabilità di avere la malattia dell’occhio secco.
2.
Ritiene che l’uso di lacrime artificiali sia sufficientemente valorizzato?
Il ricorso alle lacrime artificiali non è valorizzato e spesso si pone poca attenzione alla malattia dell’occhio secco, confidando in una sorta di autogestione della sintomatologia da parte del paziente. Una sensibilizzazione a gestire in modo più virtuoso la superficie oculare da parte dello specialista della retina, occupandosene in prima persona o delegandone la gestione al collega esperto di superficie oculare, è auspicabile per un maggiore beneficio per il paziente che, trovando una risposta al discomfort legato alla sintomatologia dell’occhio secco, sarà anche più aderente al percorso terapeutico che sta seguendo per la sua maculopatia.
3.
Nel contesto della pratica clinica che prevede sempre più spesso il ricorso a iniezioni intravitreali (IVI), è auspicabile un aggiornamento dei protocolli clinici standard per tutelare meglio la superficie oculare? Se sì, quali sono gli obiettivi da raggiungere?
Il numero dei pazienti che devono sottoporsi alle iniezioni intravitreali è in costante aumento, a tal punto da rendere preoccupante la gestione nei prossimi anni da parte dei Sistemi Sanitari. Ciò è legato sia al progressivo invecchiamento della popolazione, sia alla presenza di patologie croniche in costante aumento, prima tra tutte il diabete mellito. In questo scenario mettere in atto dei protocolli clinici per i pazienti che prevedano una diagnostica focalizzata anche sullo stato della superficie oculare e che preveda una terapia base preventiva, oltre che una gestione post procedura intravitreale, diventa di fondamentale importanza per migliorare la qualità della vista, e della vita del paziente, e per mantenere alta l’aderenza sul lungo termine alle terapie intravitreali.
Intervista a Marco Coassin, Direttore della cattedra di Oftalmologia, Università Campus Biomedico (RM)
1.
La chirurgia del segmento posteriore incide sulla qualità della superficie oculare? In che modo?
Sì, la chirurgia vitreoretinica può impattare significativamente sulla superficie oculare, anche se per molto tempo questo aspetto è stato sottovalutato. Tradizionalmente, l’attenzione si è concentrata sul segmento posteriore, trascurando la valutazione e la gestione delle condizioni del segmento anteriore. Tuttavia, evidenze scientifiche recenti hanno dimostrato che una superficie oculare compromessa può influenzare negativamente l’esperienza post-operatoria e la qualità visiva complessiva. Questo è particolarmente rilevante nei pazienti fragili, come quelli diabetici, immunodepressi o con Graft versus Host Disease. Oggi, anche grazie alle raccomandazioni emerse durante l’ultima edizione del TFOS, si sottolinea l’importanza di un approccio integrato da parte del chirurgo retinico, che includa una valutazione preoperatoria accurata e una gestione della superficie oculare nelle fasi pre-, intra- e post-operatorie.
2.
La diagnosi precoce del danno alla superficie oculare nel contesto chirurgico quanto è importante? E quali strumenti ritiene più efficaci in ambito clinico per questo tipo di monitoraggio?
Una diagnosi precoce è fondamentale. La fase preoperatoria rappresenta un momento strategico per identificare alterazioni preesistenti della superficie oculare, come l’occhio secco, e per raccogliere informazioni cliniche dettagliate, soprattutto in pazienti con comorbidità sistemiche che predispongono a queste condizioni. Una valutazione attenta consente di attuare strategie terapeutiche preventive e di ridurre le complicanze post-operatorie. Gli strumenti clinici più efficaci includono l’osservazione biomicroscopica, i test lacrimali (BUT, Schirmer), la colorazione con fluoresceina o lissamina verde. L’obiettivo è ottimizzare la superficie oculare prima dell’intervento, per favorire il recupero post-operatorio e migliorare l’outcome visivo.
3.
Quali aggiornamenti recenti considera particolarmente rilevanti per migliorare la gestione della superficie oculare nei pazienti sottoposti a chirurgia vitreoretinica?
Negli ultimi anni si è assistito a un cambiamento culturale significativo nella gestione perioperatoria della superficie oculare. È cresciuta la consapevolezza dell’importanza di proteggere il segmento anteriore anche nel contesto della chirurgia retinica, adottando pratiche cliniche più attente e standardizzate. Tra gli aggiornamenti più rilevanti vi è l’introduzione di protocolli che prevedono una valutazione preoperatoria sistematica della superficie oculare e l’utilizzo precoce di lacrime artificiali — possibilmente prive di conservanti — già nei giorni precedenti e soprattutto nelle settimane successive all’intervento. Durante l’intervento stesso, è utile minimizzare i traumatismi a carico della superficie e utilizzare lubrificanti adeguati. Tutto ciò contribuisce a ridurre i sintomi post-operatori e migliora significativamente la qualità della vita del paziente, soprattutto nei casi di interventi ripetuti o in pazienti anziani.
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Interviste a cura di:
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