Direttore della Clinica Oculistica del Policlinico di Monza
Professor Miglior, lei è fondatore e direttore della Clinica Oculistica del Policlinico di Monza: cosa offre al paziente questa struttura?
La Clinica Oculistica del Policlinico di Monza dell’Università Bicocca di Milano è nata nel marzo 2003. In realtà sarebbe più corretto parlare di Clinica Oculistica del Gruppo Sanitario Policlinico di Monza, dato che la struttura che dirigo è articolata sulle due strutture cliniche di Monza (Policlinico di Monza) e di Novara (Clinica San Gaudenzio). Da sempre entrambe le strutture offrono ai pazienti tutte le possibili attività di natura ambulatoriale, sia di diagnosi che di cura, quindi ambulatori di primo e secondo livello, con particolare attenzione alla gestione ambulatoriale di glaucoma (includente ogni tipo di laser terapia), retina medica (includente ogni tipo di laser terapia e la gestione di iniezioni intravitreali di farmaci), superficie oculare, oftalmologia pediatrica e clinica degli annessi. L’attività chirurgica invece, sia di tipo ambulatoriale che di ricovero, è stata da sempre svolta solo presso la Clinica San Gaudenzio di Novara. In questo ambito includiamo la chirurgia della cataratta, del glaucoma e degli annessi oculari (orbita e palpebre). La nostra attività è svolta sia in convenzione col SSN, che in solvenza.
Come nasce il suo interesse per la patologia del glaucoma?
Il mio interesse specifico per il glaucoma nasce ai tempi dello sviluppo della Clinica Oculistica del San Paolo di Milano, quando fui incaricato dal Prof. Orzalesi (che allora dirigeva la struttura) di dirigere il Servizio del Glaucoma, incarico che svolsi fino al mio trasferimento presso l’Università Bicocca. L’esperienza svolta al San Paolo è stata fondamentale sia dal punto di vista clinico-professionale, sia dal punto di vista scientifico, dato che mi ha dato l’opportunità di vivere quotidianamente con i pazienti affetti da glaucoma e comprendere quindi fino in fondo la realtà clinica di tale patologia e i disagi, per non dire i drammi, che essa induce ineluttabilmente in molti malati. Diciamo poi che il periodo storico da me vissuto come responsabile del Centro Glaucomi del San Paolo, seguito dalla Direzione della Clinica Oculistica del Policlinico di Monza, ha perfettamente coinciso con quello che potrei definire il “periodo aureo” del glaucoma, un periodo che potrei situare tra la gli ultimi anni ‘80 e l’intera prima prima decade del 2000, durante il quale abbiamo vissuto la transizione dalla perimetria manuale di Goldmann alla perimetria computerizzata (la prima vera rivoluzione diagnostica nel campo del glaucoma), l’introduzione via via crescente dei sistemi di imaging confocale di papilla ottica e dello strato delle Fibre Nervose Retiniche (microscopia confocale a scansione laser, Heidelberg Retina Tomograph, GDx, l’OCT - la seconda rivoluzione diagnostica), l’introduzione di nuove classi farmacologiche nel trattamento medico del glaucoma (i derivati delle prostaglandine, gli inibitori topici dell’anidrasi carbonica, gli alfa2 stimolanti, le combinazioni fisse) con conseguente significativo ampliamento delle possibilità di cure mediche della patologia, l’introduzione di tutti i sistemi di trattamento laser, e l’affacciarsi di nuove tecniche chirurgiche o l’affinamento di quelle già note da tempo. Ma, soprattutto, in tale periodo storico sono stati espletati tutti i grandi studi clinici indipendenti, sia in USA che in Europa, gli studi che hanno realmente contribuito a cambiare significativamente la gestione del glaucoma ed a comprendere finalmente quali fossero i fattori di rischio ed i fattori predittivi cui fare riferimento per affinare ulteriormente l’efficacia della nostra gestione clinica. E il fatto che ha ulteriormente contribuito a consolidare il mio interesse per tale patologia, trasformandolo nel tempo in un vero e proprio rapporto di “amore e odio”, è stato l’aver vissuto come primo attore tale periodo. Infatti per 10 anni sono stato il Principal Investigator dell’European Glaucoma Prevention Study e per altri 7-8 anni Partner Europeo dello Studio Collaborativo con l’Ocular Hypertension Treatment Study Group. Attualmente il mio rapporto personale con il glaucoma occupa praticamente il 60% della mia attività professionale (il restante 40% è occupato dalla chirurgia della cataratta) ed il 100% della mia attività scientifica.
Lei è presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio del Glaucoma: quali sono gli scopi della società?
L’Associazione Italiana per lo Studio del Glaucoma (AISG) è stata fondata nel 1984 da un gruppo di “visionari” (i Prof. Boles Carenini, Bonomi, Grignolo, Mario Miglior, Scullica, Vannini e Zingirian), che avevano avvertito la necessità di formalizzare una società che avesse l’obiettivo di raggruppare i maggiori esperti del tempo in tema di glaucoma, al fine di far conoscere e quindi divulgare le conoscenze sul glaucoma, stimolarne la ricerca in Italia e associarsi formalmente (come Sezione Italiana) all’European Glaucoma Society, la Società guida in Europa, a quei tempi in avanzata fase di stabilizzazione organizzativa e di rapida crescita, che l’ha poi portata ad essere il punto di riferimento societario in Europa.
L’AISG è stata la culla della ricerca di base e della ricerca clinica sul glaucoma in Italia. Posso dire senza timore di essere smentito che la stragrande maggioranza degli esperti di glaucoma italiani è dal 1984 socia dell’AISG ed ha attivamente partecipato alla vita dell’AISG. L’attuale generazione di esperti italiani del glaucoma è cresciuta e si è spesso scientificamente formata nell’arena congressuale dell’AISG. Perché la definisco arena? Perché il congresso annuale dell’AISG è sempre stato contraddistinto dalla presentazione dei propri originali contributi scientifici e dalla sempre vivacissima dialettica tra relatore e partecipanti. Dialettica che è sempre servita da stimolo costruttivo al miglioramento del singolo prodotto scientifico e quindi alla progressiva formazione di un gran numero di validi giovani clinici e ricercatori che hanno via via contribuito all’affermarsi di una Scuola Italiana al Glaucoma ormai stabilmente affermatasi in campo internazionale.
L’AISG quindi, come prima e più antica società del glaucoma in Italia, intende mantenere il suo profilo di rigore intellettuale, scientifico e clinico, e contribuire fattivamente alla conoscenza del glaucoma ed all’interscambio delle conoscenze in tale ambito.
Come detto, lei è Principal Investigator dell’European Glaucoma Prevention Study, il secondo più importante studio sul glaucoma finora eseguito al mondo: ce ne vuole parlare?
L’European Glaucoma Prevention Study, per numerosità del campione arruolato e seguito in pratica per una decina di anni, è in effetti il secondo studio più corposo nel campo del glaucoma. È nato nel 1995 ed è durato fino al 2005. È stato finanziato dalla Comunità Europea e da un Unrestricted Grant della MERCK (USA). Obiettivo dell’EGPS era il verificare se fosse possibile prevenire l’insorgenza di glaucoma ad angolo aperto nell’ambito della popolazione con semplice ipertensione oculare, utilizzando come farmaco ipotonizzante la Dorzolamide. I circa 1.100 pazienti arruolati nello studio vennero randomizzati per essere trattati con Dorzolamide o un placebo. Lo studio era randomizzato ed in doppio cieco. Così come erano mascherati (per quanto riguardava il gruppo di appartenenza) gli investigatori che dovevano valutare le fotografie della papilla ottica ed il campo visivo che ogni 6 mesi venivano raccolti da tutti i partecipanti. Lo studio dimostrò che la Dorzolamide esercitava un certo effetto protettivo rispetto al placebo, quindi che il rischio di sviluppare glaucoma assumendo Dorzolamide era minore rispetto al rischio di sviluppare glaucoma assumendo il placebo, ma che tale differenza non era statisticamente significativa. E che tali risultati erano ben correlabili con la modesta superiorità ipotensiva esercitata per gli anni dello studio dalla Dorzolamide rispetto al placebo (circa 1-2 mmHg). Contestualmente l’EGPS ha apportato un enorme contributo scientifico per quanto riguarda i risultati sui fattori di rischio e sui fattori predittivi per lo sviluppo di glaucoma nel tempo, confermando, in una popolazione completamente diversa, quanto riportato nell’OHTS, cioè la estrema rilevanza clinica dei livelli elevati di IOP e della sottigliezza corneale, quali fattori predittivi più importanti per individuare i soggetti con ipertensione oculare con rischio più elevato di sviluppare glaucoma.
E sulla base di tali comuni osservazioni il successivo Studio Collaborativo tra EGPS ed OHTS ha posto le basi per unire i due studi e poter quindi contribuire in modo definitivo allo sviluppo del modello per stimare il profilo di rischio individuale, modello cui si fa riferimento per capire quale paziente ha un rischio maggiore o minore di sviluppare il glaucoma nel tempo e di conseguenza quale paziente debba essere preventivamente trattato per ridurre il rischio di sviluppare la malattia oppure semplicemente seguito nel tempo senza alcun trattamento, per verificare che non si osservino modificazioni progressive del quadro clinico iniziale.
L’EGPS ha inoltre permesso di condurre lo studio col maggior numero di partecipanti per validare l’utilità dell’HRT come strumento per identificare i pazienti a maggior rischio di sviluppare glaucoma nel tempo. La coorte dello studio ancillare sull’HRT dell’EGPS è più numerosa della coorte dello studio ancillare sull’HRT dell’OHTS, ed i due studi hanno anche in questo caso riportato in pratica gli stessi risultati. Dimostrando quindi che eseguire una valutazione HRT in soggetti con ipertono oculare è clinicamente utile al fine di identificare quelli con iniziali alterazioni dell’esame HRT che hanno un maggior rischio di sviluppare la malattia nel tempo.
L’importanza dell’EGPS risiede nell’aver contribuito concretamente alla nostra attuale conoscenza delle dinamiche che sono alla base della transizione o meno tra ipertensione oculare e glaucoma, e nell’aver indipendentemente confermato il modello di rischio per glaucoma inizialmente osservato dall’OHTS.
Quale valore ha la ricerca? E cosa sta facendo nell’ambito della patologia del glaucoma?
L’EGPS è annoverato in quella che nel nostro mondo è simpaticamente chiamata la “zuppa alfabetica”, cioè nell’insieme dei grandi trial clinici indipendenti che costituiscono la base della nostra pratica clinica quotidiana: l’Advanced Glaucoma Intervention Study (AGIS), il Collaborative Normal Tension Glaucoma Study (CNTGS), l’Early Manifest Glaucoma Study (EMGT), il Collaborative Initial Glaucoma Treatment Study (CIGTS), l’Ocular Hypertension Treatment Study (OHTS), l’European Glaucoma Prevention Study (EGPS), il Collaborative EGPS-OHTS Study, il Canadian Glaucoma Study (CGS) e, più recentemente, lo United Kingdom Glaucoma Treatment Study (UKGTS).
A questi grandi studi clinici randomizzati è doveroso aggiungere tutti i grandi studi di popolazione, condotti un po’ in tutti i continenti, sia quelli di tipo trasversale, sia quelli di tipo longitudinale, che hanno enormemente contribuito alla conoscenza ed alla miglior definizione della gran parte dei fattori di rischio del glaucoma (IOP elevata, bassa pressione di perfusione diastolica, età avanzata, miopia, pseudoesfoliatio capsulae eccetera).
Attualmente devo onestamente riconoscere che il mondo del glaucoma vive una fase di stasi o, forse, di lento avanzamento delle conoscenze, ma soprattutto di rallentata traslazione di nuove e clinicamente significative procedure terapeutiche nella pratica quotidiana. Nell’ambito delle conoscenze sulla patogenesi della malattia si sta particolarmente focalizzando l’importanza della lamina cribrosa e delle problematiche legate alla modificazione dei componenti strutturali della lamina stessa. Si sta cercando di ottimizzare lo studio dei rapporti tra danni strutturali e danni funzionali al fine di migliorare la nostra capacità diagnostica della malattia già dalle fasi iniziali. Per quanto riguarda lo sviluppo di nuove molecole farmacologiche dotate di efficacia ipotonizzante clinicamente superiore rispetto agli analoghi delle Prostaglandine attualmente in uso, mi sembra che siamo ancora lontani da prevedere particolari prossime novità. Invece ci si sta orientando verso lo sviluppo di nuovi dispositivi di “drug delivery” per migliorare l’efficacia del trattamento farmacologico nel tempo, cercando di passare da una auto-somministrazione del collirio da parte del paziente ad una iniezione intraoculare di farmaco a lento rilascio che potrebbe effettivamente permettere di mantenere la necessaria efficacia ipotensiva per mesi senza richiedere la perfetta collaborazione da parte del paziente (compliance). Per quanto riguarda invece il trattamento chirurgico, considerando che la trabeculectomia con tutte le sue possibili varianti o aggiornamenti della tecnica chirurgica di base la fa ancora da padrona, è certamente interessante seguire lo sviluppo della Minimally Invasive Glaucoma Surgery (MIGS), cioè di quella chirurgia che prevede l’inserimento via cornea chiara di devices medicali atti a determinare una riduzione della IOP attraverso varie vie (incluse la trabecolare, la uveo-sclerale e la sottocongiuntivale). La ricerca clinica a questo livello dovrebbe però essere estremamente rigorosa ed indipendente per poter obiettivamente certificare l’effettivo valore (in termini di efficacia clinica e sicurezza) di ogni device ed evitare interferenze legate a possibili, talora palesi, conflitti di interesse.
A questo riguardo vorrei ricordare che a differenza di tutte le altre branche dell’oftalmologia in cui l’intervento clinico (sia medico che chirurgico) viene ben percepito ed apprezzato o non apprezzato dal paziente, potendo quindi avere un riscontro soggettivo più o meno immediato del risultato, nel glaucoma tutto ciò non avviene. Il paziente non percepisce se la pressione è più o meno bassa, non si rende conto di cosa voglia dire a livello funzionale una differenza tra 10, 15 e 20 di tono oculare, e può solo rendersi conto delle situazioni estreme (marcato ipotono o marcato ipertono con le conseguenze funzionali ed irritative che ben conosciamo). Con questo voglio significare che la correttezza e l’eticità del clinico e quindi della ricerca clinica nel glaucoma devono essere ai massimi livelli affinché la ricaduta traslazionale nella pratica clinica di tutti i giorni rifletta l’effettivo e reale valore della procedura, che può essere misurata da noi ma non percepita dal paziente.
Lei è anche professore all’Università di Milano Bicocca: vuole dare qualche consiglio ai suoi studenti?
Generalmente comincio il mio ciclo di lezioni del Corso di Malattie dell’Apparato Visivo al 5° anno del Corso di Medicina ricordando loro (ancora 23enni, con limitate esperienze nell’intero panorama delle specialità mediche e spesso ancora con le idee molto poco chiare per quanto riguarda il loro futuro e le loro ancora ignote ambizioni) quanto sia importante l’oftalmologia a livello sociale. Li informo del fatto che la visita oculistica è la visita in numeri assoluti più richiesta a livello SSN e di conseguenza anche extra-SSN. Li informo del fatto che la chirurgia della cataratta è in assoluto la chirurgia più eseguita nel mondo occidentale. Li informo che i progressi incredibili e tangibili della chirurgia refrattiva permettono oggi di poter operare con estrema soddisfazione quasi ogni tipo di ametropia (quindi la quasi totalità degli individui). Li informo del fatto che l’oftalmologia è tra le poche discipline mediche che permettono allo specialista di poter dedicarsi alla gestione medica, parachirurgica e chirurgica delle varie malattie. Li informo che anche se l’occhio è così piccolo e ne abbiamo solamente due, è oggi impensabile potersi dedicare con profitto a voler gestire ogni patologia, e che quindi la nostra disciplina permette di dedicarsi con estrema soddisfazione a singole patologie, ampliando ovviamente le già elevate possibilità professionali sia cliniche che scientifiche.
In poche parole cerco di trasmettere con i numeri quello che potrebbe essere un logico interesse verso una disciplina che offre ancora oggi ampissime possibilità lavorativa presenti e future, e cerco di trasmettere il mio entusiasmo sincero e talora anche passionale verso l’oftalmologia sottolineando un aspetto quasi unico (solo la dermatologia ci può avvicinare…): lo specialista oftalmologo può vedere direttamente tutto già con l’esame biomicroscopico o con l’ausilio di moderne tecniche d’indagine. Quindi tutti noi vediamo le stesse cose, possiamo vedere le stesse iper/ipo-pigmentazioni del fondo oculare, la stessa ampiezza dell’angolo irido corneale, la stessa corpuscolatura dell’umore acqueo… Quindi siamo tutti sullo stesso piano, almeno potenzialmente… La differenza in termini di maggiore o minore capacità diagnostica, di maggiore o minore “senso clinico” viene solo dall’ulteriore studio e dalla costante applicazione quotidiana sul campo: quanto più lavori, quanto più ti applichi, quanto più “dubiti” e ti apri a varie possibilità diagnostiche, quanto meno sarai dogmatico… tanto più accurato e preciso sarai. La maggiore o minore capacità di tuo successo personale e quindi di realizzazione nel mondo del lavoro, perché è questo che io ritengo dobbiamo insegnare ai nostri studenti, dipenderà sostanzialmente dalla tua capacità di applicarti costantemente tutti i giorni facendo tesoro degli insegnamenti ricevuti, ma cercando comunque di massimizzare la tua esperienza personale, perché questa, di certo, non te la potrà mai insegnare nessuno.