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La degenerazione maculare legata all’età (DMLE) è una patologia molto più frequente di quello che si pensa, coinvolge la porzione centrale della retina e provoca una progressiva riduzione visiva.
Rappresenta la principale causa di grave perdita visiva nel mondo occidentale in soggetti dopo i 50 anni di età, ed in base ad una recente indagine nazionale sulla DMLE, condotta dall’istituto Lorien Consulting in collaborazione con il Centro Ambrosiano Oftalmico (CAMO), il 5,3% della popolazione italiana sopra i 50 anni soffre di questa patologia, con una stima di 1.400.000 malati in Italia; questi valori tenderanno ad aumentare nei prossimi anni con l’aumento della sopravvivenza della popolazione.
La stessa ricerca ha evidenziato che tra i soggetti non affetti solo l’11% sa cos’è la DMLE.
Dall’indagine, come del resto già anche dimostrato dalla letteratura scientifica, è emersa una correlazione fra DMLE e altre patologie (diabete, ipertensione, dislipidemie) e/o abitudini di vita scorrette. Infatti i principali fattori di rischio per la DMLE sono l’età, l’etnia, la familiarità e l’assetto genetico, il fumo, l’obesità, l’esposizione alla luce solare, la presenza di altre patologie sistemiche (diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari) ed oculari (pregressa estrazione di cataratta, miopia/ipermetropia) e la scarsa assunzione con la dieta di principi attivi necessari affinché la retina possa svolgere efficacemente le sue funzioni.
Ovviamente l’attenzione cade sui fattori di rischio “modificabili”, gli unici su cui possiamo agire variando le nostre abitudini e stili di vita.
Proprio tenendo conto di questi fattori di rischio è stato messo a punto il questionario STARS (Simplified Théa AMD Risk-assesment Scale) attualmente disponibile, ma ancora poco conosciuto e scarsamente diffuso, validato da due studi epidemiologici (uno svolto in Francia e l’altro in Italia) in cui è stato utilizzato per una valutazione precoce del rischio di DMLE su un campione di popolazione di grandi dimensioni, e che permette una valutazione del rischio di progressione della DMLE, in maniera semplice e veloce (sia nell’esecuzione che nella risposta in tempo reale del test stesso), consentendo una buona discriminazione tra pazienti con e senza rischio di DMLE (1).
Il questionario è interamente compilabile dal paziente stesso: ad ogni domanda corrisponde un punteggio e, al termine della compilazione, il totale numerico indicherà tre categorie di rischio di insorgenza di DMLE: rischio assente o scarso (punteggio totale < 9); rischio moderato (punteggio totale da 10 a 19); rischio grave (punteggio totale > 20).
L’obiettivo del questionario è quello di poter fornire in maniera precisa e rapida una valutazione dello stato di rischio ed è utile sia al paziente (per una autovalutazione, per rendersi conto della propria situazione, e per motivarlo nel modificare abitudini e stili di vita), che al medico oculista (per consentirgli di fornire, in base al questionario ed all’esame del fondo oculare eventuali raccomandazioni specifiche riguardanti ad esempio il follow-up, e/o eventuale supplementazione).
È una sorta di screening per valutare l’eventuale sviluppo di DMLE ed in quanto tale può essere utilizzato in una ampia popolazione; sarà ovviamente poi cura dello specialista in retina, nei casi con patologia grave, indirizzare più specificatamente il paziente a esami diagnostici più approfonditi ed eventuale terapia.
L’individuazione precoce dei pazienti a rischio di DMLE è cruciale, poiché vari studi internazionali e non solo l’AREDS, hanno ampiamente dimostrato l’importanza della diagnosi precoce, e dell’immediata terapia sia medica che iniettiva. Un recente studio ha evidenziato la correlazione tra ampiezza del fERG (funzione) e lo STARS score, validando ulteriormente il questionario (2)
L’obiettivo è quindi quello di individuare precocemente i soggetti a rischio e di bloccare o quantomeno ritardare la progressione della malattia preservando in tal modo la visione.
Per raggiungere tale obiettivo sono anche necessari dei principi attivi che abbiano capacità antinfiammatoria ed antiproliferativa, che non debbano essere necessariamente somministrati per via intravitreale, ma che eventualmente possano integrare e potenziare la terapia intravitreale stessa.
In tale ottica acquista sempre più importanza, soprattutto e non solo per la forma secca della malattia, ma anche per la forma essudativa neoangiogenenica, la supplementazione con talune sostanze che potrebbero avere i requisiti prima elencati.
Tra queste sostanze vanno annoverati gli acidi grassi polinsaturi omega-3, quali l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaenoico (DHA), i quali hanno dimostrato di ricoprire a livello retinico un ruolo morfologico, funzionale e protettivo.
Oltre agli acidi grassi a catena lunga, un altro nutraceutico che può svolgere un ruolo importante nel prevenire la progressione della DMLE è il resveratrolo, una sostanza naturalmente prodotta dalle piante in risposta a fattori stressanti (attacco di funghi e batteri, mancanza d’acqua, ecc.) e che è contenuto nel vino rosso (di cui rappresenta il principale polifenolo), acini d’uva, frutti oleosi (come le noci), mirtilli e more.
Al resveratrolo vengono riconosciute diverse attività tra cui attività antiossidante, attività antinfiammatoria e, a livello vascolare, attività antitrombotica ed antiangiogenica. Per tali motivi il resveratrolo è stato utilizzato in diversi ambiti clinici non oftalmologici: per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, come potenziale agente chemioterapico, nella malattia di Alzheimer, nel Parkinson e nel diabete di tipo 2.
In ambito prettamente oculistico, i benefici del resveratrolo, soprattutto nelle patologie della retina, sono stati attentamente valutati in numerosi studi, che hanno dimostrato in vitro ed in vivo l’azione antinfiammatoria (3), gli effetti dose-dipendenti (4,5), l’effetto antiangiogenico (3).
L’attività antiangiogenica è stata indagata in uno studio di Layana (6) che ha valutato la capacità dell’associazione di resveratrolo, acidi grassi polinsaturi omega-3 ed altri integratori nel prevenire la neovascolarizzazione coroideale (CNV) in un modello murino di induzione CNV.
Un’altra sostanza da tenere in forte considerazione è la Vitamina D (7).
Sebbene l’attività della vitamina D sia stata “da sempre” strettamente correlata al metabolismo del calcio e del fosforo, concetto rafforzato anche dal fatto che negli stati carenziali non sia associata a manifestazioni cliniche a carico dei tessuti oculari e della funzione visiva, negli ultimi anni, però, alcune ricerche hanno riscontrato una relazione tra variazioni dei livelli di vitamina D e diverse patologie sistemiche ed anche oculari.
La vitamina D è un pro-ormone che esplica molteplici funzioni biologiche: non solo ha un ruolo importante nell’omeostasi del calcio, ma ha anche effetti sulla regolazione della risposta immune, sulla proliferazione, differenziazione, apoptosi cellulare e anche sull’angiogenesi.
Il meccanismo di attivazione della vitamina D, dalla produzione a livello cutaneo tramite i raggi solari o all’intake tramite la dieta e che porta alla successiva idrossilazione epatica e renale, è un meccanismo complesso e probabilmente ancora non perfettamente conosciuto, infatti recenti studi hanno dimostrato la presenza a livello oculare e retinico, sia del recettore per la vitamina D (VDR) che degli enzimi (idrossilasi) in grado di attivare la vitamina D stessa. La presenza nei tessuti oculari del recettore e degli enzimi regolatori della vitamina D, ha indotto a studiare le eventuali relazioni esistenti tra i livelli di vitamina D e le patologie oculari.
In particolare, per quanto concerne la degenerazione maculare legata all’età (DMLE), studi epidemiologici hanno messo in relazione la malattia con bassi livelli di vitamina D.
A tale conclusione si è giunti partendo dall’osservazione che, sebbene la DMLE non sia classicamente considerata una patologia infiammatoria, nello sviluppo della malattia giocano un ruolo importante eventi infiammatori, come l’attivazione del complemento, il reclutamento di cellule del sistema immune ed il rilascio di citochine proinfiammatorie.
Si è supposto, pertanto, che la vitamina D, in virtù della sua capacità di inibire l’infiammazione e l’angiogenesi potesse giocare un ruolo nella DMLE (8).
Diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza che pazienti con livelli sierici elevati di vitamina D avevano un basso rischio di sviluppare DMLE, mentre i soggetti con i livelli sierici più bassi di vitamina D presentavano una più alta prevalenza della forma neovascolare di DMLE (8, 9, 10).
Quindi numerosi sono i tessuti oculari capaci di attivare e/o in qualche modo rispondere alla vitamina D e presumibilmente i livelli di vitamina D influenzano la manifestazione di un’ampia varietà di patologie oculari.
Considerato l’importante ruolo protettivo giocato dalla vitamina D, è logico supporre che una sua supplementazione dietetica possa contribuire a prevenire o ritardare lo sviluppo di diverse e gravi patologie oculari, come la DMLE (8).
L’importanza dell’apporto dietetico e del fabbisogno per la retina di micronutrienti nella DMLE è stato ampiamente dimostrato dagli studi AREDS.
La retina, infatti, è l’area più ricca di specie reattive dell’ossigeno (ROS), molte delle quali sono radicali liberi e quindi in grado di distruggere o danneggiare, spesso irreversibilmente, cellule e tessuti (7).
Questo è da considerarsi fisiologico in quanto per la trasduzione del segnale luminoso in segnale elettrico vi è bisogno di enormi quantità di ATP e di un marcato aumento della vasodilatazione, per assicurare un adeguato apporto di nutrienti alla retina.
L’intenso flusso sanguigno determina elevati livelli di ossigeno; purtroppo, però, tutte le volte che l’ossigeno è molto rappresentato in un tessuto, quale quello retinico, molto ricco di mitocondri, che rappresentano l’area in cui avviene la sintesi dell’ATP, si producono ROS. Partendo da tale presupposto, sono stati condotti molti studi clinici prospettici, i cui risultati supportano l’uso della supplementazione dietetica con nutrienti antiossidanti, per ridurre l’impatto del danno radicalico sulla retina.
Ma se si vuole aumentare la concentrazione di queste sostanza, che ha dimostrato negli studi clinici di essere in grado almeno di ritardare la progressione della DMLE, bisogna fare ricorso a supplementazioni esterne: sia perché le fonti esogene sono relativamente poche (come nel caso del resveratrolo), sia perché è importante la qualità più che la quantità delle sostanze, come nel caso gli acidi grassi polinsaturi, in cui non sono tanto importanti le concentrazioni assolute di omega-3 quanto il loro rapporto con un’altra classe degli acidi grassi polinsaturi, cioè gli omega-6, ad attività proinfiammatoria.
Per quanto concerne la vitamina D, negli anni sono cambiati i livelli di concentrazione plasmatica di vitamina D in base ai quali stabilire se il paziente è in uno stato di carenza, di insufficienza o di equilibrio ed oggi non è più accettabile ciò che veniva considerato in passato.
Date le nostre attuali abitudini di vita ed attività lavorative, l’esposizione al sole è da considerarsi insufficiente; peraltro, anche quando ci si espone al sole, lo si fa spesso previa applicazione di creme protettive, che aiutano nella prevenzione del melanoma, ma non permettono la sintesi cutanea della vitamina D.
Ciò fa sì che gran parte della popolazione, sia di anziani che di giovani, presenti livelli insufficienti di vitamina D.
Da quanto detto, dunque, non potendo intervenire sui fattori endogeni che predispongono allo stress ossidativo ed all’infiammazione, dobbiamo necessariamente agire sui fattori esogeni ed in particolare sulla dieta.
La nostra, infatti, è una dieta proinfiammatoria, caratterizzata da una scarsa assunzione di agenti antiossidanti (resveratrolo, omega-3, vitamina D) e da un ingente consumo di sostanze proinfiammatorie (zuccheri, omega-6).
Peraltro, tale tipo di dieta si innesta su un genotipo, quale quello umano, già di per sé proinfiammatorio, in quanto la selezione naturale ha favorito gli individui capaci di difendersi meglio dalle infezioni, quelli cioè in grado di innescare una risposta infiammatoria più efficace contro i patogeni ambientali.
L’associazione tra un genotipo proinfiammatorio ed una dieta proinfiammatoria non può che risultare in un prevedibile, progressivo aumento di condizioni patologiche legate allo stato infiammatorio, come le patologie degenerative.
È necessario che i medici in generale, e gli oculisti in particolare, capiscano l’importanza dello stress ossidativo nella genesi di molte patologie e, quindi, della supplementazione dietetica con antiossidanti nel prevenirle e trattarle.
Bisogna, però, tener presente che la sola supplementazione non è sufficiente, ma bisogna valutare attentamente, ed eventualmente correggere, la dieta del paziente.
Peraltro, è difficile ottenere un’aderenza terapeutica a lungo termine se il medico non spiega adeguatamente al paziente il ruolo degli antiossidanti nella patogenesi della loro malattia e la necessità della loro supplementazione, rendendolo consapevole dell’importanza della terapia che andrà ad intraprendere.
Da tutto ciò si evince l’importanza dell’educazione del paziente ad una corretta alimentazione e integrazione.
A parte le forme essudative di DMLE in cui è prevista una terapia intravitreale iniettiva, non esistono terapie farmacologiche “ad hoc” nelle forme non essudative (forme secche ed atrofia geografica) ed il trattamento consiste sostanzialmente nella riduzione dei fattori di rischio, (e quindi nel cambio delle abitudini e dello stile di vita) e nell’integrazione e supplementazione con quelle sostanze e principi attivi di cui la retina necessita per poter svolgere nel tempo la sua azione.
Vi è ancora una carenza di informazione su codesta patologia, come dimostrato dall’indagine condotta dall’istituto Lorien Consulting in cui solo l’11% dei soggetti intervistati sa in effetti cos’è questa patologia, non conoscendone le caratteristiche né l’importanza della prevenzione.
Sia i farmacisti (a cui spesso, nel nostro paese, i pazienti si rivolgono, prima ancora di contattare il medico) che i medici (soprattutto i medici di base che rappresentano il primo punto di contatto nel rapporto medico/paziente), dovrebbero essere consapevoli del fatto che ben 1.400.000 persone sono affette da questa patologia, una patologia che, qualora non diagnosticata e non trattata, porta ad una grave ed irreversibile riduzione visiva.
I medici oculisti specialistici, che giocano un ruolo fondamentale nell’educazione del paziente, potrebbero essere di aiuto informandolo sulla patologia in questione e sui relativi fattori di rischio, monitorando il suo stato di rischio tramite l’utilizzo del questionario STARS e provvedendo ad un esame approfondito del fondo oculare per valutare la situazione ed iniziare il trattamento adeguato.
Nel frattempo la ricerca clinica sta andando avanti dimostrando sempre di più l’effetto benefico su questa patologia di alcuni nutrienti quali gli acidi grassi polinsaturi, la luteina, il resveratrolo, lo zafferano.
La vitamina D, usata da anni per altre patologie e considerata da sempre una vitamina dal principale, quasi esclusivo, ruolo nel metabolismo osseo, è sempre più oggetto di studio anche per le patologie retiniche come la DMLE in quanto grazie alle sue proprietà antiossidanti e antiangiogeniche può rallentarne la progressione (6,7).
Bisogna sottolineare il fatto che molti di questi nutrienti si trovano nei cibi che mangiamo, ma non in tutti e soprattutto non nelle quantità di cui avremmo bisogno per avere un effetto benefico, come spiegato dai nutrizionisti, secondo cui non solo la quantità, ma anche la qualità di ciò che mangiamo è importante. Proprio per questo nei pazienti ad alto rischio o con patologia già presente sarebbe opportuno prescrivere integratori.
Il ruolo dell’oculista è proprio quello di spiegare al paziente quanto sia importante l’alimentazione per questa patologia, ed a sua volta il paziente deve essere informato in modo che si renda conto del reale beneficio dell’integrazione, altrimenti lo confonde, come dice a noi medici, con “tutti gli altri farmaci che sto assumendo”.
Ci troviamo di fronte ad una nuova realtà in cui nutrizione e occhio si debbano integrare e le figure professionali del nutrizionista e dell’oculista debbano collaborare ed interagire con l’obiettivo di ridurre la grave riduzione visiva presente negli stadi avanzati di una patologia come la degenerazione maculare legata all’età, entità molto frequente, ma purtroppo, ancora, poco conosciuta ai “non addetti ai lavori”.
Se si riuscisse ad individuare, attraverso efficaci programmi di screening, e a trattare precocemente i pazienti a rischio, saremmo in grado di prevenire, o almeno rallentare questa malattia che ha un peso rilevante sulla qualità della vita di chi ne è affetto.
Bibliografia
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- Minnella, AM, Falsini B, Picardi M. Macular Function in Early and Intermediate Age-related Macular Degeneration: Effect of Systemic Risk Factors. ARVO 2018
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- Balaiya S et al. Mol Vis 2013; 19:2385-92 eCollection 2013
- Jiang LW et al. J Pediatr Ophthalmol Strabismus 2012;49(4):230-5
- Layana A et al. EVER 2012
- Battaglia Parodi M.; Minnella AM, Testa F, Mele MC Journal of Health Science, Dalla nutracetica all’evidenza clinica !5: 1-16, 2017
- Layana AG, Minnella AM, Garhöfer G, Aslam T, Holz FG, Leys A, Rufino Silva R, Delcourt C, Souied, Seddon JM. Vitamin D and Age-Related Macular Degeneration Nutrients 2017,9,1120-1135
- Itty S et al. Retina 2014; 34(9):1779-86.
- Annweiler C et al. Maturitas. 2016 Jun; 88:101-12
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