L'epidemia da SARS-CoV-2 ha avuto un impatto devastante e inaspettato sulla nostra quotidianità. Dopo la scoperta del primo caso italiano a febbraio 2020, i numeri dei soggetti positivi sono aumentati in modo esponenziale.

Prima ancora che ce ne rendessimo conto, ci siamo ritrovati ad essere l’epicentro mondiale della pandemia del nuovo coronavirus. Per contrastare la diffusione di tale patogeno, la nostra libertà è stata fortemente ridotta.

Ad inizio marzo 2020 prima la regione Lombardia e poi l’intero territorio italiano sono stati posti in regime di lock-down. Attività che tutti noi davamo per scontate sono state proibite. Non potevamo andare fuori a cena, fare una corsa nel parco, assistere ad un concerto o semplicemente visitare i nostri parenti e amici più stretti.

E contemporaneamente alla restrizione della libertà personale, sfortunatamente anche la nostra capacità di prenderci cura dei pazienti con malattie oftalmiche è diminuita drasticamente.

La visita oculistica infatti non consente il rispetto della distanza di sicurezza tra l’assistito e il medico. In particolare, durante l’esame alla lampada a fessura solo pochi centimetri dividono due volti che possono trasmettersi l’un l’altro il virus attraverso il naso e la bocca.

Al fine di garantire una continuità di cura e ridurre il rischio di contagio sia per gli operatori sanitari che per i nostri pazienti, fin dall’inizio della diffusione nel nostro paese del SARS-CoV-2 il nostro dipartimento di oculistica dell’ospedale San Raffaele di Milano ha adottato una serie di stringenti misure di prevenzione.

In primo luogo, è stato effettuato uno screening telefonico dei pazienti prenotati in modo da stratificarli in base all’urgenza della visita o della prestazione chirurgica e al rischio di avere contratto l’infezione da coronavirus.

Gli appuntamenti di routine sono stati riprogrammati seguendo le indicazioni delle autorità di sanità pubblica. Ai pazienti è stato chiesto se presentassero sintomi riconducibili all’infezione da SARS-CoV-2 o se avessero avuto contatti stretti con persone positive.

I pazienti che presentavano questi fattori di rischio e che avevano necessità di una visita oculistica urgente sono stati indirizzati in una stanza separata, altrimenti sono stati ricontattati dopo 2 settimane.

Se il paziente non aveva fattori di rischio per infezione da SARS-CoV-2, abbiamo accuratamente indagato telefonicamente i sintomi oculari come riduzione dell’acuità visiva o aumento/comparsa di nuovi sintomi visivi. I casi con sintomi stabili sono stati ricontattati dopo 14 giorni, altrimenti il paziente è stato visitato seguendo accurati protocolli di protezione.

Fig. 2 Operatore oftalmico durante una consulenza oculistica in reparto COVID-19.

Il personale dell’ambulatorio è stato addestrato in base alle normative vigenti di protezione individuale e dotato di adeguati dispositivi di protezione.

Inoltre la temperatura e la presenza di sintomi respiratori del personale sono stati monitorati quotidianamente. Nel dipartimento di oculistica gli operatori sanitari sono stati dotati di occhiali protettivi, guanti, mascherine e tute protettive.

Nei nostri ambulatori le lampade a fessura sono state adottate di protezioni in plexiglass. Dopo ogni visita è stata condotta una completa disinfezione degli strumenti e degli ambienti.

Si è chiesto al paziente, se possibile, di entrare senza accompagnatore per tutta la durata della visita. Per ridurre il numero di accessi, alcune prestazioni come le le iniezioni intravitreali e terapie laser sono state effettuate nella stessa giornata della visita.

La pandemia da SARS-CoV-2 ha certamente determinato una riduzione delle visite e delle prestazioni sanitare. Inoltre molti pazienti hanno preferito annullare la visita per paura del contagio. La riduzione dell’accesso alle cure ha coinvolto tutte le specialità mediche e chirurgiche. Ad esempio nel nostro centro di retina abbiamo avuto una notevole contrazione dei volumi delle visite e delle iniezioni intravitreali.

Come sappiano una mancata compliance alle visite e ai trattamenti sono associati ad una peggiore prognosi visiva, in particolare per due delle più frequenti patologie oftalmiche quali la degenerazione maculare legata all’età e la retinopatia diabetica.

Durante i due mesi di lock-down, abbiamo assistito ad una diminuzione di circa il 70% delle visite di maculopatia e retina medica, oltre che ad un calo superiore al 50% delle iniezioni intravitreali al confronto dello stesso periodo dell’anno precedente.

Non bisogna dimenticare che i pazienti positivi al COVID-19 possono avere patologie oftalmiche o manifestazioni oculari connesse all’infezione da SARS-CoV-2. All’interno del presidio ospedaliero del San Raffaele di Milano è stato condotto uno studio da noi oculisti, in collaborazione con internisti e anestesisti.

Questo studio ha avuto l’obiettivo di quantificare il coinvolgimento oculare in un campione di 172 pazienti ospedalizzati per polmonite da COVID-19, dato confermato dalla positività al tampone naso-faringeo o imaging TC compatibile con polmonite interstiziale da SARS-CoV-2. Nel 26.2% del campione sono state rilevate anomalie oculari durante il periodo di ospedalizzazione, in particolare iperemia congiuntivale bilaterale, sensazione di corpo estraneo e iperlacrimazione.

D’altra parte, lo studio ha sottolineato che la prevalenza di sintomatologia oculare era maggiore nei pazienti che eseguivano terapia con C-PAP, che a causa del passaggio di aria dalla mascherina, è responsabile di aumento dell’evaporazione lacrimale e sensazione di discomfort oculare.

In 22 pazienti con sintomi oculari, è stato eseguito un tampone congiuntivale e una analisi RT-PCR per il genoma di Sars-CoV-2: in nessun caso il virus è stato rilevato. Ciò ha confermato l’ipotesi, già testata in altri studi, che la concentrazione di particelle virali, e di conseguenza la contagiosità, nelle lacrime e secrezioni oculari sia relativamente bassa.

D’altra parte, non è esclusa la trasmissione attraverso la congiuntiva e, poiché gli oculisti possono essere i primi operatori ad entrare in contatto con un paziente affetto da una forma subclinica di COVID-19, grande cautela deve essere posta nel mettere in atto tutte le corrette norme di igiene e protezione personale durante la visita oftalmologica.

Nell’ospedale San Raffaele il COVID-19 ha avuto un impatto devastante. Sono stati aperti nuovi reparti di degenza e terapia intensiva per pazienti COVID-19 positivi.

La riorganizzazione dell’ospedale ha toccato noi oculisti molto da vicino: il nostro reparto di oculistica (26 posti letto) è stato chiuso, e le tre sale operatorie dedicate sono state convertite in terapia intensiva. I pazienti che necessitavano di ricovero o intervento chirurgico urgente sono stati uniti in un singolo dipartimento di testa-collo (comprendente oltre all’oculistica anche l’otorinolaringoiatria e la neurochirurgia).

Gli oculisti hanno avuto anche un ruolo in prima linea in questa emergenza sanitaria.
11 specializzandi in oftalmologia e 4 oculisti dell’ospedale San Raffaele hanno deciso volontariamente di prendersi cura dei pazienti COVID-19.

La decisione di unirsi alla lotta contro il COVID-19 non è stata semplice. Per acquisire le necessarie conoscenze e capacità per questa difficile prova siamo stati costretti a riprendere in mano i nostri manuali di medicina interna e malattie polmonari, oltre che a ricercare le più recenti evidenze sulla infezione da SARS-CoV-2; abbiamo inoltre dovuto imparare ad utilizzare in modo corretto i dispositivi di protezione personale.

Messi a confronto con questa prova, le due cose che più ci spaventavano erano il rischio di contrarre l’infezione ma soprattutto il non riuscire a fornire una cura adeguata ai pazienti. Come oculisti nella nostra attività ci troviamo ad assistere pazienti che non sono in pericolo di vita.

Al contrario nei reparti COVID molti dei degenti sono gravemente malati e con numerose comorbidità. Non eravamo abituati a gestire l’ossigenoterapia, la ventilazione non-invasiva e quella invasiva, o ad interpretare i valori emogasanalatici dei pazienti con polmonite interstiziale severa.

La nostra esperienza nei reparti COVID è durata all’incirca due mesi. Fortunatamente ad inizio maggio 2020 la riduzione dei casi ci ha consentito di fare ritorno nel dipartimento di oculistica.

Siamo però fieri di avere dato il nostro contributo. Quando siamo diventati medici, abbiamo giurato di fornire il nostro aiuto in caso di disastro o calamità. Ma non è stato solo il giuramento di Ippocrate a spingerci a questa scelta. Prenderci cura di questi pazienti è stato il nostro modo di sostenere le nostre famiglie e i nostri amici, così come i nostri colleghi oberati da carichi di lavoro e responsabilità insostenibili.

Abbiamo deciso di aiutare la società e la nostra nazione in ogni modo possibile, perché dobbiamo tenere a mente che oltre ad essere oculisti in primo luogo siamo medici.

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